martedì 23 luglio 2013

Un dottore arabo-padovano

Stefano ha la febbre da venerdì sera. Finalmente ieri si è deciso a contattare il medico, il quale gli ha dato un appuntamento piuttosto strambo per noi occidentali: 21.30 all'ingresso di Abu Gosh! Si scusava di non poterlo ricevere prima ma aveva osservato il ramadan e doveva mangiare (ovvero non poteva dargli appuntamento alle 20, che comunque è un'ora strana!). La mia incredulità era tale che ho chiesto di poter andare con lui per controllare che fosse realmente un medico serio. L'ingegnere viene da quasi due anni di Iran, per cui è abituato agli orari notturni dei musulmani; io proprio no. 
Dopo dieci minuti che aspettavamo all'entrata del paese, è arrivato un macchinone con a bordo due uomini pelati; uno dei quali ha gridato: "sono il dottore. Seguitemi!". Il mio viso sconvolto era eloquente: sono abituata al medico curante della mia famiglia che riceve a volte il pomeriggio fino alle 17. Che orari sono? Stefano, ridendo, mi ripeteva: "sono arabi. Non vedi i bambini soli per strada a quest'ora? E i negozi tutti aperti?". 
Appena scesi dalla macchina, il sorriso caloroso dell'omone dottore mi ha subito conquistata. "Da dove venite? Io sono padovano!", seguito da una grossa risata. Il dottore era giunto nel 1975 a Padova per frequentare la facoltà di medicina assieme ad un fratello e una sorella, i quali erano rimasti mettendo su famiglia (uno, farmacista, aveva sposato una trentina; l'altra, avvocato, un medico iraniano). Soltanto lui aveva fatto ritorno in Israele, portandosi dietro il ricordo di un Paese meraviglioso e di un amore torinese che non aveva avuto il coraggio di seguirlo. 
Continuava a dirci: "ragazzi, non potete capire che bello era vivere in Italia. Qui gli arabi sono discriminati, vengono sempre sottoposti a controlli, mentre in Italia i carabinieri ti salutano con la testa. Io ero sconvolto che nessuno volesse sapere chi fossi". 
"Erano gli anni di Berlinguer, mi ricordo i cortei degli studenti". 
"La gente mi faceva morir dal ridere quando si poneva il problematico quesito: cosa mangiamo per pranzo? E per cena? Me-ra-vi-glio-si". 
Mentre il dottore ci raccontava del suo periodo italiano, io e Stefano non riuscivamo a credere che un medio-orientale di religione islamica parlasse in questi termini della nostra Italia. Volevamo interromperlo per dirgli: "ma è proprio sicuro di aver studiato in Italia??? Nella Padova padana???"; invece gli abbiamo soltanto detto: "non è più quello di una volta. Oggi è un Paese difficile". 
Già, oggi trattiamo male tutti gli stranieri, compresi gli studenti in medicina simpatici. Abbiamo un ministro di origini africane, ma lo paragoniamo ad un orango. Abbiamo tanti figli di immigrati che non possono accedere alla cittadinanza solo perché non hanno il sangue color italico. Ci piace ancora mangiare, ma il problema del lavoro ci sta togliendo l'entusiasmo nel fare tutto - compreso mangiare. Abbiamo tanti bravi medici, molti dei quali sono stanchi e si sentono sfruttati, mentre altri siedono semplicemente sulla sedia di papà. In pochi ti accolgono con tale affabilità, chiedendoti la parcella con "ma solo se li avete tutti i soldi, altrimenti non c'è problema". 
Se passate per Abu Gosh e avete bisogno di un medico, chiedete del dottore arabo-padovano. Vi riceverà in uno stanzino di una cucina rustica, tra pacchi di zucchero e altre dispense, senza computer e ricettario, regalandovi un momento di grande umanità mentre vi parlerà di un Paese a voi completamente sconosciuto. 

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