lunedì 18 novembre 2013

Ciao, Doris.

Ho letto Alfred e Emily nell'estate 2011, in quell'estate di cambiamenti inaspettati (e quindi) travolgenti.
Oggi, mentre commemoro la scomparsa di Doris Lessing, scopro che era nata a Kermanshah. Ai più il nome di questa cittadina non dice nulla, a me racconta di un periodo intenso - emotivamente intenso, di un affetto divenuto amore, di attese e di speranze. Mi racconta di quel viaggio che ci divideva e al contempo ci univa, di quel viaggio che tutt'oggi mi commuove.
Doris - la chiamo per nome come si fa in genere con le scrittrici (mai con gli scrittori), giacché le senti più vicine, più intime, più simili a te - mi era tornata in mente dopo l'assegnazione del premio nobel alla Munro, tanto che Il taccuino d'oro era balzato prepotente in cima ai desideri di evasione. Ci sono momenti della mia fragile esistenza che necessitano dei libri per dare conforto e sostengo ai gesti o alle scelte. E  questo romanzo mi era sembrato giusto per un presente di confusione. Non so perché. So solo che lo volevo al mio fianco.
Oggi desidero una parola qualsiasi di Doris, di quella ragazza europea nata a Kermanshah in Persia. Una qualsiasi.



Possiamo abituarci a qualsiasi cosa; va bene, è un luogo comune, ma forse bisogna viverle, certe esperienze, per coglierne fino in fondo l'orribile verità.
Da Memorie di una sopravvissuta

mercoledì 31 luglio 2013

Io sto Cécile

Un mirabile Erri De Luca in un tweet scritto per la ministra Kienge, ma che è per tutti noi. Non solo leghisti.

A Cecile K: non vada al raduno di chi odia la sua pelle, i loro visi pallidi trasudano un decolorante scaduto, sono meticci e non lo sanno.




Quanto sei piccola, mia Italia.

martedì 30 luglio 2013

At the mall

E' stato amore a prima vista tra di noi. Di quegli amori che ti fanno girare e rigirare nel letto pensando a quando e come sarà possibile rivedersi per scegliersi per sempre. L'avevo scorta in mezzo a tante e più appariscenti colleghe, lei così riservata, così minuta, con quel suo colore timido. Non potevo lasciarla lì dov'era, dovevo assolutamente prenderla e portarla nel mio mondo affinché potesse divenire una degna accompagnatrice per quei momenti della vita dal sapore conturbante. 
E così ho deciso di sfidare il timore di perdermi su un autobus con fermate dai caratteri incomprensibili per correre da lei, da quella giacca color nocciola che si trovava rinchiusa in un negozio dell'Har'el Mall Center Pharm di Mevaseret. Lei doveva essere mia, avrei costeggiato anche la striscia di Gaza pur di averla. 
Se c'è una cosa che mi spinge ad andare oltre quell'Io pavido che posseggo è lo shopping! A ciascuno le proprie medicine: a me corteggiare i vestiti, soprattutto se questi sono in saldo. 
La passione per la giacca si è sgonfiata una volta giunta a casa, mentre gli occhi si sono riempiti di un popolo tanto variopinto e il cuore di tanti atti di gentilezza. 
Alla fermata sotto casa ho chiesto ad un signore se quello fosse l'autobus giusto per giungere al centro commerciale. L'uomo, probabilmente un arabo, mi ha risposto in un inglese stentato e si è offerto di indicarmela una volta giunti in prossimità. Mentre aspettavamo mi ha chiesto se LA MIA LINGUA FOSSE L'INGLESE!!! Attimo di gioia infinita, durato fino a quando ho dovuto confidare di essere madrelingua italiana. Quando rivelo la mia nazionalità la maggior parte ostenta indifferenza, solo qualche maschietto più baldanzoso ha osato dirmi una parolina in italiano (tipo: ciao bella). In un panificio gestito da arabi, il tizio che ci ha servito ha pensato di fare il simpatico dicendo: "Italia bunga bunga". Io e Stefano abbiamo risposto con un sorriso abbozzato. Per fortuna al resto della popolazione residente sul suolo israeliano interessa ben poco delle mie folcloristiche radici, a dimostrazione di quanto siamo poco allettanti (anche in negativo) fuori dall'Europa.
Al ritorno ho chiesto indicazioni ad una ragazzina, la quale dapprima si è intimorita nel rispondermi ma poi, vinta dal desiderio di aiutarmi, ha cercato sul suo iphone la traduzione in inglese per me. Ho scorto sul display quel "I check for you" che mi ha scaldato il cuore. Allora io ho cercato sul mio cellulare la traduzione in ebraico di "è già passato il 186?" che lei non riusciva a capire. Ho trovato quanto siano utili a volte le tecnologie per avvicinare quelle persone timide nel comunicare in una lingua terza. Un tempo c'era i gesti, oggi ci sono i gesti e il traduttore di Google. 
In mio soccorso è arrivata anche una soldatessa, che aveva appena smontato dal servizio militare. Anch'ella si è prima scusata di non parlare bene inglese e poi si è prodigata nell'assistermi. Era bellissima, con uno sguardo felino, i lunghi capelli neri, le mani ben curate e quella brutta divisa del servizio militare. Mentre aspettavamo ne sono arrivate altre, tutte altrettanto giovanissime. Sto cominciando ad abituarmi alla presenza dei metal detector, ai controlli della borsa, ai tanti soldatini piantonati ovunque. Tutto diventa normale, persino i giubbotti antiproiettile, le armi da fuoco e le militari giovanissime. 
Con la soldatessa ho commentato il costume israeliano di fare l'autostop, soprattutto in corrispondenza delle fermate dell'autobus. Ragazzi, adulti e persino donne alzano il braccio per avere un passaggio da uno sconosciuto, a qualsiasi ora e senza nessuna remora. Sarà forse perché sono italiana, ma francamente entrare o far entrare in macchina chi non conosci lo reputo...pericoloso. Chissà se questa è un'abitudine che gli israeliani hanno avuto in eredità dalle loro radici medio-orietali. Poiché non mi sembra che nel resto d'Europa lo si faccia con così tanta frequenza e sicurezza, deduco che non siano stati gli ebrei europei emigrati nella terra promessa ad importarla. 
Nell'attesa del 186 sono passati sotto il mio occhio curioso le sfumature di questo popolo. A parte le musulmane facilmente riconoscibili dal velo, è con gli ebrei che mi diverto a memorizzare le loro differenze in fatto di vestiti e di acconciature. Alcune ebree portano delle gonne nere lunghe fino a sotto al ginocchio o alla caviglia (mi ricordano molto le zingare) e dei fazzoletti sulla testa. Le etiopi in particolare vestono soprattutto con gonne lunghe, in prevalenza scure.
Ci sono uomini con cappelli e vestiti che a me ricordano troppo i personaggi di "La casa nella prateria". Sarà per via di un abbigliamento dal taglio e dal tessuto non proprio moderno, sarà per quel modo particolare di portare la barba, ma a me sembra che provengano tutti dalla America del Nord tardo ottocentesca. 
Poi ci sono quelli con il ricciolo, il cappello largo, il vestito nero e la camicia bianca. Quelli, insomma, conosciuti anche in Italia. Infine, quelli più "normali" (mi scusino gli ebrei se uso questo aggettivo, ma devono capire che il mio è sempre un punto di vista abituato ad altri costumi) con la kippah, molto usata anche tra i bambini. 
Vorrei fotografarli tutti, perché li trovo proprio belli. Credo di avere sviluppato, se non una passione, una simpatia per il mondo ebraico. Mi interessa, mi coinvolge, mi incuriosisce. Persino la lingua mi intriga, peccato non avere il tempo per frequentare un corso completo di primi rudimenti. De gustibus. Ho capito che questa cultura mi affascina molto, ma molto di più rispetto a quella islamica. Attenzione, con queste dichiarazioni non ho l'intenzione di prendere alcuna posizione storico-politica, giacché non ho le competenze né la voglia per farlo. Voglio soltanto dichiarare una curiosità intellettuale a scapito di un'altra.
Faccio, al contrario, una dichiarazione precisa, diretta: i centri commerciali in Italia e in Europa sono oltremodo noiosi. Hanno sì una varietà di vestiti migliori, sia per qualità che per stile, ma sono pregni di gente più o meno tutta uguale: sono multiculturali in modo standardizzato. E dunque finiscono per essere privi di attrattiva per chi come me passerebbe ore intere ad osservare la vita dell'altro. 

domenica 28 luglio 2013

Primo Shabbat di mare

Finalmente è arrivato il primo bagno in mare targato 2013. Quest'anno ci siamo battezzati nelle acque calde e mondane del Mediterraneo israeliano, per la precisione in quelle glamour di Tel Aviv. 
Dopo aver visitato Gerusalemme, non potevamo non dedicare il nostro secondo Shabbat alla visita della capitale economica del Paese, considerata la Miami del Middle East per le spiagge bianche, pullulanti di gente in formissima e circondate da enormi palazzi. 
Avevo stabilito che come prima tappa saremmo dovuti andare nell'antico quartiere di Jaffa, unico sito proveniente dal mondo antico in una città nata - come me - nel '900. Come al solito ho le idee, ma manco di organizzazione. Così ci siamo messi in macchina guidati dalla mia convinzione che il posto fosse a nord di Tel Aviv. Ebbene, si è verificato esattamente quello che accade ogni volta che sono convinta di una cosa: è l'esatto contrario. Sicché dopo aver girovagato lungo le superstrade che circondano la città cercando di trovare un cartello con la scritta della nostra destinazione, Stefano ha suggerito pacatamente di usare il navigatore del mio cellulare. Chi ha la straordinaria capacità di indicare la svolta sbagliata anche quando è ben visibile sullo schermo? Io, naturalmente. Non so come si chiami questo deficit di orientamento, ma forse dovrei provare a sanarlo. Giuro che a piedi ricordo tutto e mi so muovere senza problemi, in macchina o con l'ausilio di strumenti elettronici proprio no. 
Ad un certo punto leggo sul display: tra 300 metri svoltare Gaza. Gaza??? "Stefano, stiamo andando a GAZA!". Per la prima volta ho visto gli occhi dell'ingegnere spalancarsi di terrore. Diciamo che il nostro spirito di conoscenza è alquanto latitante in Israele, cerchiamo di andare solo in posti quasi sicuri, diffidiamo di luoghi e di persone, ci lasciamo facilmente suggestionare da tutto ciò che potrebbe far pensare alla parola "attentato". Se persino a Gerusalemme non eravamo così tranquilli, figuriamoci andando in direzione di Gaza. 
A quel punto l'ingegnere ha preso in mano la situazione occupandosi lui stesso del navigatore. Peccato che arrivati a Jaffa ha pensato bene che fosse troppo araba (e quindi insicura) per i suoi gusti, proibendomi di scendere dalla macchina per cercare la piazza con l'orologio o l'antico porto. Addio, pertanto, gita culturale; lo Shabbat doveva essere passato in tutto e per tutto sulle mondane spiagge telaviviane. 



















Due note sui costumi locali: 
1) gli uomini sono tutti in forma e depilati. Lungomare ci sono degli spazi attrezzati a palestra, accessibili gratuitamente, dove vedi dilettarsi questi energumeni quasi finti. Le donne, con mia somma gioia (sììì! Non mi sono sentita tanto come una dalle forme irregolari), non sono così ben scolpite. Mentre gli uomini passano il tempo a delineare la circonferenza dei bicipiti o a correre sotto il sole, esse si scialano tranquillamente al sole. 
2) non si scambiano effusioni in pubblico! Di coppie ce n'erano tante, ma sia in spiaggia che lungo il boulevard non ho assistito a scambi di affettuosità. La cosa ha lasciato piuttosto interdetta me e felicissimo il mio riservato ingegnere, che nella nostra spudorata (!) Europa biasima i gesti troppo intimi scambiati sotto lo sguardo di estranei (a cominciare dalla tendenza a dover comunicare necessariamente con il contatto fisico della sua fidanzata, europea del sud e pertanto super spudorata). 


Di seguito il link della comunità ebraica di Bologna, in cui si spiega che cos'è lo Shabbat: http://www.comunitadibologna.it/index.php?option=com_content&task=view&id=87

venerdì 26 luglio 2013

Gerusalemme

Ho cercato delle citazioni di autori israeliani che potessero accompagnare le foto scattate a Gerusalemme, ma nessuna riusciva ad esprimere quello che questa città è, che cosa trasmette, la sua atmosfera, le sue tante lingue e i suoi tanti volti giunti da ogni dove per adorare il proprio Dio. 
E' una città unica al mondo, una città che può essere compresa soltanto nel momento in cui la si percorre nei suoi quartieri, nei suoi luoghi di culto, tra le macerie di tempi antichi, in mezzo a popoli così distanti geograficamente, fisicamente e soprattutto culturalmente. 
E' la città cosmopolita per eccellenza. Lo era già ai tempi di Gesù, e lo deve essere necessariamente ora, in questi tempi di cultura globale e di tendenze divisorie pericolose, in cui mangiamo, beviamo, indossiamo, visitiamo, leggiamo e parliamo il mondo dell'Altro, verso il quale però mostriamo diffidenza, timore, fastidio. E quasi mai accoglienza. In Gerusalemme guardiamo noi stessi, il nostro passato mitico e il nostro presente tanto, tanto complesso da gestire. 
Per questa ragione è una città che incanta e disincanta il cittadino del mondo. 

Porta di Giaffa

 Quartiere armeno

 Basilica del Santo Sepolcro

 Pietra dell'Unzione

 Venduta del Muro del Pianto e della Moschea 

 Con la nostra guida nel quartiere ebraico. Non poteva non chiamarsi Abraham

 Una coppia che decide di pregare insieme al Muro del Pianto

Le sfumature dell'ebraismo

 Piscina di Betsabea, dove Gesù guarì il paralitico

Nel giardino della Chiesa di Sant'Anna, il posto che più mi ha emozionato. Qui sorgeva la casa di Maria. 
Io e questa gattina dallo sguardo offuscato ci siamo coccolate. E capite.

mercoledì 24 luglio 2013

I spick Inglish

"Stefano, ho un dubbio...com'è che si dice in inglese ebraico?"
"Hebrew".
"Ehhhhh??? Ma non si dice Ebraic?!!".
O_o

Ora ho capito perché la padrona di casa al mio "how do you say good morning in Ebraic"? ha fatto una faccia interdetta! Poi, evidentemente, ha capito e mi ha risposto cordialmente. In fondo gli italiani sono noti per il loro modo di esprimersi in una lingua straniera, senza porsi il problema che le parole usate siano solo una versione esotica del termine italiano. Mi sono sentita come chi parla in spagnolo aggiungendo semplicemente le S. 
O come Alberto Sordi in Un americano a Roma.



Qualche giorno prima il padrone di casa ha mostrato il mio appartamento a persone interessate ad affittarne uno simile a quello dove noi abitiamo.
E' arrivato con uomo di origine indiana ed un ebreo anziano. Li ho aperti così come ero conciata per casa, ovvero pantaloncini e canottierina. Mentre i tre uomini guardavano curiosi nelle stanze, io ho notato che l'anziano aveva in testa il kippah, il copricapo degli ebrei osservanti. Il primo stupidissimo pensiero che ho avuto è stato: "Oddio, un rabbino!". Allora ho guardato l'uomo, mi sono coperta con le mani e, umilmente, gli ho detto: "I'm sorry, I'm sorry". 
"Don't worry. You are in your house!". Ovvero, sei nella tua casa. Qui siamo in Israele, non rischi una punizione corporale per aver accolto in casa tre uomini vestita discinta. Non sono un rabbino, né tanto meno un imam o il vescovo di Gerusalemme, quindi nessuno ti accuserà di mancanza di rispetto nei confronti di un'autorità religiosa. Keep calm, miss G. Il mio sorriso è il miglior benvenuto che tu potessi ricevere da un ebreo. 


Toda Raba: Grazie

Boker Tov: Good Morning

Laila Tov: Good Night

Shalom: Ciao

martedì 23 luglio 2013

Un dottore arabo-padovano

Stefano ha la febbre da venerdì sera. Finalmente ieri si è deciso a contattare il medico, il quale gli ha dato un appuntamento piuttosto strambo per noi occidentali: 21.30 all'ingresso di Abu Gosh! Si scusava di non poterlo ricevere prima ma aveva osservato il ramadan e doveva mangiare (ovvero non poteva dargli appuntamento alle 20, che comunque è un'ora strana!). La mia incredulità era tale che ho chiesto di poter andare con lui per controllare che fosse realmente un medico serio. L'ingegnere viene da quasi due anni di Iran, per cui è abituato agli orari notturni dei musulmani; io proprio no. 
Dopo dieci minuti che aspettavamo all'entrata del paese, è arrivato un macchinone con a bordo due uomini pelati; uno dei quali ha gridato: "sono il dottore. Seguitemi!". Il mio viso sconvolto era eloquente: sono abituata al medico curante della mia famiglia che riceve a volte il pomeriggio fino alle 17. Che orari sono? Stefano, ridendo, mi ripeteva: "sono arabi. Non vedi i bambini soli per strada a quest'ora? E i negozi tutti aperti?". 
Appena scesi dalla macchina, il sorriso caloroso dell'omone dottore mi ha subito conquistata. "Da dove venite? Io sono padovano!", seguito da una grossa risata. Il dottore era giunto nel 1975 a Padova per frequentare la facoltà di medicina assieme ad un fratello e una sorella, i quali erano rimasti mettendo su famiglia (uno, farmacista, aveva sposato una trentina; l'altra, avvocato, un medico iraniano). Soltanto lui aveva fatto ritorno in Israele, portandosi dietro il ricordo di un Paese meraviglioso e di un amore torinese che non aveva avuto il coraggio di seguirlo. 
Continuava a dirci: "ragazzi, non potete capire che bello era vivere in Italia. Qui gli arabi sono discriminati, vengono sempre sottoposti a controlli, mentre in Italia i carabinieri ti salutano con la testa. Io ero sconvolto che nessuno volesse sapere chi fossi". 
"Erano gli anni di Berlinguer, mi ricordo i cortei degli studenti". 
"La gente mi faceva morir dal ridere quando si poneva il problematico quesito: cosa mangiamo per pranzo? E per cena? Me-ra-vi-glio-si". 
Mentre il dottore ci raccontava del suo periodo italiano, io e Stefano non riuscivamo a credere che un medio-orientale di religione islamica parlasse in questi termini della nostra Italia. Volevamo interromperlo per dirgli: "ma è proprio sicuro di aver studiato in Italia??? Nella Padova padana???"; invece gli abbiamo soltanto detto: "non è più quello di una volta. Oggi è un Paese difficile". 
Già, oggi trattiamo male tutti gli stranieri, compresi gli studenti in medicina simpatici. Abbiamo un ministro di origini africane, ma lo paragoniamo ad un orango. Abbiamo tanti figli di immigrati che non possono accedere alla cittadinanza solo perché non hanno il sangue color italico. Ci piace ancora mangiare, ma il problema del lavoro ci sta togliendo l'entusiasmo nel fare tutto - compreso mangiare. Abbiamo tanti bravi medici, molti dei quali sono stanchi e si sentono sfruttati, mentre altri siedono semplicemente sulla sedia di papà. In pochi ti accolgono con tale affabilità, chiedendoti la parcella con "ma solo se li avete tutti i soldi, altrimenti non c'è problema". 
Se passate per Abu Gosh e avete bisogno di un medico, chiedete del dottore arabo-padovano. Vi riceverà in uno stanzino di una cucina rustica, tra pacchi di zucchero e altre dispense, senza computer e ricettario, regalandovi un momento di grande umanità mentre vi parlerà di un Paese a voi completamente sconosciuto. 

lunedì 22 luglio 2013

Shalom!

SHALOM, amici! 
Aska è in Israele, per la precisione a Shoresh, piccolo villaggio non molto distante da Gerusalemme, dove resterà fino alla fine di agosto. E' corsa in aiuto/supporto del suo ingegnere, che - tutto occupato a costruire una galleria per la TAV Tel Aviv-Gerusalemme - non ha nemmeno il tempo per prendersi cura di se stesso e del loro rapporto a distanza. Giacché anch'ella aveva bisogno del suo ingegnere e non avendo un granché da fare in Italia, ha fatto i bagagli si è trasferita qui per curare - per l'appunto - il suo uomo e se stessa. 
Ad essere sinceri, sono qui per curare soprattutto me stessa. Finché non mi sono messa sull'aereo ed è cominciata questa avventura foriera di tante emozioni, paure e ansie ingiustificate da superare, di volti cordiali e di parlate "strane", ero arciconvinta che facevo tutto per Stefano e per il nostro rapporto. Invece, è quasi esclusivamente un'esperienza per me stessa , per essere più forte, per tornare ad essere quella ragazza piena di vita e di desiderio di conoscenza che ero fino a qualche tempo fa. Aska riprova a danzare, e lo fa nella terra di Abramo, nella terra simbolo delle tre grandi religioni monoteiste, nella terra dove è nato Cristo, insomma in un posto mitico, pregno di storia, di sacro, di contraddizioni, di difficoltà.
A qualcuno che mi scriveva per chiedermi come stesse andando ho raccontato che sembrava quasi di essere in un reality show per gente con le ansie, dove ogni giorno ci sono delle prove da superare per diventare delle persone più sicure, autonome, meno spaventate.
Ci sono le paure legate al fatto che questa è una terra di instabilità sociale, con divisioni pericolose. Se sento degli aerei penso subito che stiano andando verso Gaza, verso il confine con la Siria o che sia successo qualcosa a Gerusalemme. Non mi fido delle folla o di facce più torve. Mi shockano i controlli ovunque, il metal detector all'ingresso pedonale del centro commerciale, l'addetto della sicurezza di turno che ti apre lo sportello della macchina per vedere se non hai armi, girare sempre con il passaporto perché la polizia te lo puoi chiedere anche se stai ferma per i fatti tuoi. 
Poi ci sono le paure più strettamente "mie", banalissime rispetto a quelle per gli attentati, ma snervanti uguali. Innanzitutto c'è l'incubo lingua inglese. Il mio perfidissimo fidanzato non mi ha fornito nessuna informazione sul posto in cui viviamo affinché fossi io ad interagire con le persone. Chi mi conosce sa bene che la prima e più lampante caratteristica che posseggo è la socialità, caratteristica che viene meno quando sono all'estero allorché devo usare la lingua di sua maestà. Ora tra e me l'inglese c'è un rapporto conflittuale: lo studio, lo imparo, lo applico e lo dimentico sistematicamente. E poi nei suoi confronti - maledetto- ho un serio problema psicologico: siccome non riesco ad apprenderlo alla perfezione, non lo uso! Mi blocco di fronte al mio terribile accento italiano e alla mia sgrammaticata conversazione, finendo per non proferir parola o per smettere di ascoltare chi mi sta parlando. Da un'insegnante di lingue straniere è un comportamento riprovevole lo so. E' per questa ragione che il perfidissimo di cui sopra si rifiuta di venirmi in aiuto. 
Altra enorme paura che ho è: CUCINARE per gli altri. Non mi piace, non ho fantasia, non metto sale, non mi piacciono i pranzi elaborati, mi mette solo angoscia farlo perché so che chiunque sa farlo meglio di me. Stesso discorso dell'inglese, siccome non riesco bene preferisco non cimentarmi proprio. 
Il mio fidanzato, che è perfido anche in questo campo, è uno che ama il buon cibo, che non si accontenta delle insalatone o della pasta al limone (la mia specialità!). Al contempo, però, crede molto in me ed è convinto che con un po' di sforzo anche dietro ai fornelli posso combinare qualcosa di buono. Intanto, la sera guarda i miei lavori culinari, mi sorride e prima ancora di assaggiare aggiunge il sale. Dice che ha fede: un giorno anche io troverò piacere nel cucinare. A differenza di lui io ho meno speranza sulle mie capacità (culinarie e linguistiche), ma è per questo che sono in Terra Santa...giusto?! 
Shalom amici, devo correre a preparare la cena. Sigh.


 Davanti alla basilica del Santo Sepolcro

sabato 6 luglio 2013

Suocere moderne

Passaporto pronto, biglietto preso, voglia di rivedersi infinita. Mancava solo dire ai suoi genitori la mia imminente partenza. Così ieri sera, mentre definivamo le ultime cose via skype, abbiamo coinvolto nella videochiamata anche i suoi procreatori.
Molto sommessamente ho annunciato che avrei passato l'estate dal figlio in Terra Santa, sperando che questo "non fosse un problema" per loro. Sotto il regime di mio padre sono stata educata a chiedere il permesso prima di fare qualsiasi cosa. Pertanto, non stupitevi se nell'estate del 2013, io, donna occidentale, istruita, cosmopolita, rendo noto ai genitori del mio fidanzato l'intenzione di andare ad amare il figlio, rimettendomi alla loro benedizione! (Se volete è anche ruffianeria, ma non rivelatelo ai miei suoceri e soprattutto a mio padre!). 
Sua madre, donna del terzo millennio, ha stoppato il mio patetico salmodiare con:

 "Ragazzi, siate felici".

Non ci poteva essere benedizione più bella.

martedì 2 luglio 2013

Su Tumblr

La danza di Aska è anche su Tumblr, dove ripropone vecchi post e nuove idee mentre cerca di esplorare, conoscere, capire, usare questa nuova piazza. L'intenzione è anche quella di rendere Aska madre di nuovi personaggi e di nuove storie. Chissà che non finirà per raccontarci i quasi due anni di "lettere persiane" scambiate tra lei e Chirone. Chissà.

http://ladanzadiaska.tumblr.com/

sabato 29 giugno 2013

Ciao, Margherita


"Tutta la materia di cui siamo fatti noi l’hanno costruita le stelle, tutti gli elementi dall’idrogeno all’uranio sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernove, cioè queste stelle molto più grosse del Sole che alla fine della loro vita esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno. Per cui noi siamo veramente figli delle stelle".

Ciao, Margherita!
Ti ricordo in questo strano sabato di giugno, mentre provo a stare dritta all'interno della mia Via Lattea con quella nostra medesima sete di Infinito.



Io sto bene quando sto lontano da me, 
dove nessuno sa chi sono e dove niente mi riguarda, 
dove l' ignoto ha il suo profumo e io vado incontro al mio destino, 
seduto accanto ad un finestrino e con in tasca il passaporto e all'orizzonte un nuovo viaggio, 
con quella libertà speciale che ha solo l' uomo di passaggio.
Lontano da me, Niccolò Fabi

venerdì 28 giugno 2013

Il giro del mondo in 80 giorni

Le tour du monde en quatre-vingts jours, Jules Verne, 1873

Aveva viaggiato, Sir Phileas Fogg? C’era ragione di supporlo, dato che nessuno meglio di lui conosceva la carta geografica del mondo. Non esisteva paese, per quanto remoto, di cui egli non mostrasse di avere profonda nozione. Talora con poche parole brevi e chiare rettificava le mille dicerie che circolavano al Club a riguardo di viaggiatori ritenuti periti o dispersi. Indicava le varie probabilità; e gli avvenimenti finivano sempre per dargli ragione, tanto che le sue parole venivano ritenute come ispirate da un sesto senso. Certo, Sir Phileas Fogg era un uomo che doveva aver viaggiato il mondo intero, almeno in spirito.

Around the world in 80 days, di Michael Anderson, 1956

In quel singolare paese [gli Stati Uniti d'America], nel quale gli uomini sono, certo, all’altezza delle istituzioni, tutto si fa a quadratura perfetta: le città, le case e le sciocchezze.


Avvenne pure che, quel 23 novembre, Passepartout provasse una grande gioia. Si ricorderà che il testardo giovane aveva voluto assolutamente conservare l’ora di Londra sul suo famoso orologio di famiglia, ritenendo false tutte le ore dei paesi che attraversava. Quel giorno, benché egli non l’avesse mai messo né avanti né indietro, l’orologio si trovò d’accordo con il cronometro di bordo.
C’è da figurarsi il trionfo di Passepartout! Egli avrebbe voluto sapere che cosa avrebbe potuto dire quel Fix, se fosse stato presente.
«Quel briccone che mi raccontava un mucchio di storie sui meridiani, sul Sole e sulla Luna!» ripeteva fra sé Passepartout. «Eh, che gente, quella! Ad ascoltar loro, si farebbe una bella orologeria! Ero sicuro che, un giorno o l’altro, il Sole si sarebbe deciso a regolarsi sul mio orologio!…»



giovedì 27 giugno 2013

Noi che

Dunque il Piano Letta prevederebbe misure per favorire l'occupazione tra gli under 30 e gli over 50. Qualche precario potrebbe vedere tramutato il suo contratto a tempo indeterminato (il sogno dei sogni per una buona fetta di italiani in età lavorativa). Mentre noi, giovani adulti, non siamo così urgenti da meritarci il piano emergenza lavorativa. Bene. Anzi, male. 
Male, malissimo per noi che continueremo a sopravvivere con quei contrattini che ci impediscono di affrancarci e di renderci degli adulti completi, in grado di possedere una propria casa, dei propri affetti, delle scelte maturate e perseguite. Continueremo ad aspettare e a non scegliere, mentre gli anni implacabilmente passeranno nel tentativo quotidiano di tenere i pensieri in equilibrio.
Male, molto male per il nostro Paese: siamo noi, giovani adulti SENZA PRIVILEGI DI CETO (perché chi proviene da determinati ambienti, seppur a fatica, il proprio posto al sole ce l'ha o lo raggiunge. Provate a guardare tra le vostre conoscenze cosa stanno facendo e come stanno vivendo i figli degli operai o degli impiegati, e paragonate la loro vita a quella dei figli del ceto medio alto. La realtà del momento presente è tutta lì: in quelle vite. Tra chi passa il tempo a mandare CV e chi andrà ad agosto in Sardegna)...dicevo: siamo noi, giovani adulti senza privilegi di ceto, ad essere maggiormente penalizzati. Ovviamente. 
Chi ha il piacere di governarci dimentica che noi dovremmo essere la colonna vertebrale di questo Paese: siamo tanti, siamo nel pieno delle nostre energie fisiche e mentali, siamo nell'età della fecondità. Il futuro del Paese è nelle nostre mani proprio in virtù del potenziale numerico e generazionale che abbiamo. Ogni famiglia che non possiamo costruire oggi, ogni figlio che non possiamo mettere al mondo, ogni competenza, ogni idea, ogni studio che non possiamo mettere a frutto, ogni cervello che va via, è una granata che cade sul benessere del nostro Paese adesso e nel futuro. Tenerci fermi è un danno che ci costa caro, più dello spread, più degli F35. 

mercoledì 12 giugno 2013

Nell'Italia di Gaetano

Avvinta da pensieri di incertezza e di malinconia, avevo cominciato la giornata con un concerto di sbruffi ripetuti a più riprese e con una voglia non proprio esaltante di dedicarmi a mansioni di pubblica utilità (fatta eccezione per l'aspirapolvere passata subito dopo la colazione). Mentre mi trascinavo da una stanza all'altra, dal letto alla sedia, ho pensato che uno dei peccati mortali che compio quotidianamente è quello di non ritagliarmi più del tempo per la lettura. Il risultato è più che palese: mancanza di idee, tedio, un eloquio sempre più in balia del dialetto e uno scritto sempre più corto. 
Così ho trascinato i piedi fuori dal portone di casa, mi sono inerpicata su ripidi scalini e sono giunta alla biblioteca comunale. Appena entrata l'aria fresca del palazzo antico mi ha rasserenato - portandomi alla memoria gli anni in cui andavo lì a lezione di pianoforte quando ero una bambina che nei freddi e piovosi pomeriggi invernali l'ultima cosa che avrebbe fatto era proprio andare ad una lezione di solfeggio (nel Palazzo Sannia ha sede non solo la biblioteca, ma anche l'Accademia di musica: www.incampania.com/beniculturali).
Ad accogliermi - come sempre e per fortuna - c'è Gaetano e il suo garbo. La responsabile - come sempre e per fortuna - era in giro per "commissioni", mentre lui - giovane, laureto in beni culturali, con un contratto ridicolo e tanta passione e sensibilità per i libri (tutti requisiti che mancano a chi risiede nel posto di comando) - si occupa dell'accoglienza al pubblico, della catalogazione, dell'archivio e di altre cose. L'ho trovato mentre digitalizzava un documento dell'archivio onciario, con una cura e un rispetto che mi hanno commosso. Così ci siamo messi a parlare del suo lavoro. "Informatizzo la nostro storia non solo per rispetto nei confronti dei libri antichi, ma anche perché vorrei che la mia nipotina un giorno potesse accedere a questi beni. Devo pensare agli studiosi di oggi, ma anche e soprattutto a chi verrà dopo": in questo pensierioc'è la spiegazione del perché il nostro Paese si trovi in una situazione tanto tanto penosa. Gaetano è il volto bello della mia generazione, il volto istruito, educato, sensibile, che compie il proprio lavoro come una missione, che ha senso di responsabilità e coerenza; è quel volto tagliato fuori da tutto, che vive nell'oscurità, che non ha importanza, che viene sempre dopo quegli adulti ben ancorati ai propri privilegi e quei giovani arroganti e ignoranti che occupano indebitamente posti non loro, gente preoccupata solo ad arraffarsi il presente. 
Un'Italia in mano a Gaetano e ai suoi amici sarebbe un posto diverso: un posto ove la cultura, i libri, la storia, assieme al rispetto, all'educazione e alla competenza verrebbero considerati valori per i quali vivere. 

Grazie a tutti i Gaetani nascosti nelle proprie "biblioteche". 

venerdì 7 giugno 2013

A poche ora da una nuova "lontananza"














Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere “noi” in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.
Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo
e non il ricordo di come eravamo,
se sapremo darci l'un l'altro
senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia…
Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto.

Pablo Neruda

lunedì 13 maggio 2013

Il "vorrei" di Giulia

In paese siamo alle prese con la campagna elettorale per le comunali: si deve eleggere sindaco, giunta, ma soprattutto si devono rinnovare o confermare interessi di vario genere. Il nostro è un comune piccolo, sito in una zona dell'Italia quasi insignificante (la provincia più in provincia dell'Italia, come la definisco io da sempre), eppure riproduce in scala le logiche più bieche che sottendono la gestione della cosa pubblica a livello nazionale. La corsa alle briciole è diventata di anno in anno più spietata (pettegolezzi, sgambetti, corruzione, a momenti si vendono pure mogli e figlie), il cui unico risultato è sotto gli occhi di tutti: ovvero lo spopolamento. Nessuno investe più denaro, sogni, futuro e famiglia; i più preparati (ovvero ragazzi laureati, con esperienza Erasmus o di vita all'estero, e quindi cosmopoliti) scappano in posti più appaganti, lasciando il territorio in mano ai più furbi, che spesso sono anche i più ignoranti, gretti e avidi.
Con l'avvento dei social network il dibattito politico si è fatto ancora più squallido, in quanto gli insulti non volano tra le chiacchiere da bar o di piazza ma restano visibilissimi nei vari post. E' soprattutto la generazione prima della mia, quella che si è mangiata l'intera Italia ad abusarne. Pertanto, il disgusto di giovani e giovanissimi è enorme. 

Vi scrivo il messaggio, presente su uno dei tanti gruppi di dibattito "paesano", di Giulia, studentessa in giurisprudenza, intelligente, preparata, bella ed elegante (tutte doti che mancano ai vari opinion leader locali).


“Vorrei che tu tornassi a brillare, vorrei che il tuo bene e non quello individuale fosse la priorità ,vorrei che la gente potesse non perdere la speranza e continuare a lottare per il suo Paese.”

Ed è proprio quando si è in periodi come questi ,di campagna elettorale, che la passione per il tuo paese torna a sgorgare con prepotenza nelle vene…perché è in periodi come questi che torni a credere che qualcosa possa ”smuoversi “, che si possa cambiare e migliorare, TORNI A SPERARE!

Ma è anche in periodi come questo, che ti viene spesso lo sconforto…senti, leggi ,vedi affermazioni non soltanto di “politicanti” ma di ragazzi tuoi coetanei che non si affrontano su contenuti ma su provocazioni, su slogan e su tifo da stadio per una fazione o l’altra. Persone che pensano di poterti rappresentare ma a cui in realtà non hai mai delegato tale prestigioso compito.

E capisci come il tuo paese sia lo specchio in miniatura della desolante Italia; toccarlo con mano, vi garantisco, è cosa alquanto triste. Menefreghismo, interesse personali e pseudo orientamenti politici riposti “all'occorrenza” nel cassetto. 

Non so cosa il futuro ci riservi, quale sarà il nostro domani, chi di noi continuerà a vivere qui o meno…ma auspico che possano venire meno l’astio e le divisioni, che vi siano sempre opinioni diverse, programmi e progetti differenti, ma che i CONFRONTI possano essere sani, sinceri e COSTRUTTIVI contraddistinti da lealtà intellettuale.

Sono giovane, forse per questo ancora mi illudo che fare politica significhi fare il bene della comunità. Consapevole di ciò voglio continuare a CREDERCI .

“Non soffocate le speranze di noi giovani… lasciateci, quantomeno, SOGNARE!”

venerdì 3 maggio 2013

Che cos'è la tecnologia?



Che cos'è la tecnologia e i pericoli che possono derivarne da un uso eccessivo di essa ci vengono spiegati in questo piccolo trattato sociologico dai miei giovanissimi concittadini.
Bravi e simpatici, meritano visibilità nella grande piazza di internet.

mercoledì 24 aprile 2013

A proposito di concittadini all'estero

Antonio è un mio vecchio amico che vive a Bristol da qualche mese. In questi giorni era nel nostro paesello per una visita ai genitori. Prima di partire ha salutato tutti - soprattutto "casa" - con un post molto bello, che vado a ricopiare.
A proposito proprio di concittadini e di amici all'estero (Partire/Restare).

Aria di casa.

Ascoltare il silenzio della notte
le cicale sdraiato sul letto
l'odore dell'erba bagnata
l'abbraccio di un'amica
la birra con un amico sincero
l'amore di un genitore
la chiacchiera con un conoscente
il caffè nel tuo bar preferito
la musica a palla in macchina
il deserto per strada alle 10 di sera
la confidenza con la tua migliore amica
il consiglio scambiato
il sole caldo
Il cocktail "San Pellegrino" (red)
la lasagna di Carla
il pane di mamma
L'ARIA DI CASA!!


martedì 23 aprile 2013

Un cuore con poca panna

Mi sto inaridendo. Me ne accorgo ogni qualvolta qualcuno mi descrive come tenera, sentimentale, amante dell'happy end, dallo sguardo indulgente, mentre io mi irrigidisco quasi come se mi stessero insultando. Sarà che non riesco a starci nei panni che non sono della mia taglia: se non mi sento bene con una maglietta, me la tolgo senza esitazione. Così accade ultimamente di fronte ai bei sentimenti, mi spoglio sovente di essi. Meglio nuda, triste e arida, piuttosto che ricoperta di gesti e di parole confortanti. 
Pensavo a tutto ciò oggi pomeriggio, allorquando ho terminato Fai bei sogni di Massimo Gramellini, libro consigliato caldamente da molte persone con una bella testa. Al termine della lettura non ho ricavato né entusiasmo né calore. Sul viso avevo stampato un "e quindi?".
Forse sono diventata una lettrice alquanto esigente, che fa pertanto molta fatica a lasciarsi incantare da chi non crea Letteratura ma solo evasione; ne è testimonianza l'entusiasmo con cui ho divorato Franzen a gennaio. Non riesco ad accontentarmi: è questo il punto. Ogni giorno mi trovo a vivere situazioni di compromesso, di adattamento a fatti e persone lontani anni luce dal mio Sé, sicché quando voglio passare nel mondo dell'immaginario esigo, desidero solo ciò che va dal cuore al cervello, e viceversa. 
Dunque, ero quasi certa di essere ormai soltanto una donna con un cuore di marmo ricoperto di un sottile spessore di materiale morbido e luccicoso (tanto che abbaglia e inganna il prossimo), allorché mi sono commossa con questa canzone di Simone Cristicchi. Mi piace, mi emoziona, mi fa piangere senza ritegno. 
Ebbene sì, talvolta anche a me piacciono le cose che inteneriscono gli altri (ovvero quelli non ancora inariditi dalla vita, quelli che insomma vivono veramente).

Dedicata a te.


E innamorarmi ogni giorno di te 
sceglierti ancora, ancora una volta 
e credere insieme che tutto è possibile 
che tutta la vita che abbiamo davanti è facile come scrivere.




E innamorarti ogni giorno di me 
scegliermi ancora, ancora e per sempre 
perché è solo insieme che siamo invincibili 
e tutto l'amore che abbiamo davanti come la mia canzone, 
sarà semplice.

martedì 16 aprile 2013

Essere la stampella dei tuoi sogni

Aska non può molto, non ha molto: può solo essere la stampella dei suoi sogni. Mentre attende che il percorso raggiunga il suo compimento, mentre conta i giorni, i mesi e forse gli anni, mentre prova con tutte le sue forze a fermare quel cuore che trema assieme alla terra su cui lui dimora, mentre sul suo viso si mostrano le conseguenze di troppi pensieri, impara che bisogna saper aspettare rispettando i sogni altrui, i tempi altrui, poiché si è compagne solo quando si riesce ad andare oltre i propri desideri di possesso, oltre i propri calcoli di felicità individuale, al fine di essere solo Quel prezioso, inestimabile, particolare sostegno. E' bene che in questa notte di faticosa nostalgia si ripeta tutto ciò con voce stentorea, nel tentativo di ritrovare proprio il coraggio che lui e soprattutto lei hanno bisogno per sopravvivere...

domenica 14 aprile 2013

Gite scolastiche

Di crisi economica si parla ogni giorno in ogni dove, soprattutto nel nostro dove. Dacché è cominciata tutti, o quasi tutti, abbiamo limato o addirittura eliminato qualcosa appartenente alla voce "spese"; per chi come me non beneficia di un lavoro (perché averne uno che ti occupa un paio di ore a settimana o poco più non è neanche lontanamente definibile lavoro, ma soltanto "sorta di occupazione remunerativa che ti dà l'illusione di vivere la tua età") questo momento di difficoltà economica è un cancro vero e proprio, che di giorno in giorno ti consuma e ti lascia senza speranza per un futuro personale sano.
Quasi inutile che scriva su quanto mi getti nello sconforto sentire i numeri riguardanti la chiusura di aziende e di attività commerciali, soprattutto in relazione alle vite che ci sono dietro ogni singolo dato. C'è una gerarchia di importanza, dove pertanto il fatto che le gite scolastiche stiano risentendo pesantemente della crisi ha una importanza marginale rispetto ai veri drammi. Premesso ciò per non essere tacciata di insensibilità verso le cose reali della vita, vengo al perché del post. 
Sì, apprendere che sempre meno studenti italiani prendano parte ai viaggi di istruzione organizzati dalle scuole mi ha messo tanta tristezza. Sarà perché per me essi sono stati i momenti più belli, più teneri del periodo della scuola. Da adulta ne riconosco l'importanza formativa e culturale, il peso che hanno avuto nella mia crescita. All'epoca, com'è ovvio, erano puro divertimento. 
Erano gli anni '90 e le scuole organizzavano annualmente gite di uno o più giorni, a cui gli studenti partecipavano quasi in massa. Per me e mia sorella era normale aderire, non c'è mai sfiorata l'ipotesi che i nostri genitori non ci dessero la possibilità di andare. Eppure la nostra era una semplice famiglia del ceto medio, con stipendi standard. Oggi probabilmente non sarebbe così scontata, in un'epoca in cui si fanno spese controllate e in cui le gite possono costare molto. La mia vicina di casa, che frequenta la terza media, non potrà andare perché 300 euro sono una somma eccessiva per la sua famiglia. 
Il mio primo viaggio di istruzione è stato proprio in terza media: siamo andati a Ravenna e a Venezia. Fu in quell'occasione che conobbi il mio Stefano. A distanza di così tanti anni ricordo ancora quasi perfettamente il percorso fatto e le risate condivise, così come ricordo tutte le altre: primo liceo Firenze; secondo Parigi e Strasburgo (in pullman! I voli low cost dovevano ancora arrivare); terzo la Sicilia orientale; quarto Verona; quinto Praga (in treno). Ma la più bella in assoluto resta la visita fatta all'acquario di Napoli, facevo la seconda elementare e mi emozionai così tanto alla vista del cavalluccio marino! Il ricordo di quell'emozione è ancora vivido. 
Mi è proprio difficile pensare che si debba sottrarre dall'iter scolastico le gite, è come se si eliminasse una qualsiasi altra materia: sono parte fondamentale del percorso di formazione dei ragazzi. Non a caso la dicitura più corretta è viaggio di istruzione.
Che Paese è diventato il nostro se non dà la possibilità ai suoi giovani cittadini di andare fuori dal proprio mondo per guardare negli occhi l'arte e la Bellezza in compagnia dei propri compagni, lontano dai genitori, tirando tardi la notte tra una risata e una bevuta rubate alla sorveglianza dei professori? E' un Paese triste con una scuola altrettanto triste.

Aprile 1996

sabato 13 aprile 2013

Le notti bianche

Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era un cielo così stellato, così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi: è mai possibile che esistano sotto un simile cielo persone irritate e capricciose? Questa è pure una domanda giovane, caro lettore, molto giovane, ma che il Signore la mandi più spesso alla vostra anima!

Le notti bianche, Fedor Dostoevskij, 1848.




Che sia sereno il tuo cielo, che sia luminoso e tranquillo il tuo caro sorriso, che tu sia benedetta per quel minuto di beatitudine e di felicità che tu hai dato ad un altro cuore solitario e riconoscente! 
Dio mio, un minuto di beatitudine! Ma è forse poco questo, sia pure per l'intera vita di un uomo?


Le notti bianche, Luchino Visconti,1957.

Chirone risponde ad Aska


Ciao Aska,
nonostante io faccia parte di questo triste fenomeno, mi sconcertano i numeri, come del resto tutti gli altri numeri e le altre cifre che, nel nostro amato/odiato Paese, da qualche tempo parlano di: percentuale di disoccupazione giovanile, imprese chiuse dall'inizio dell'anno, fallimenti giornalieri di piccole e medie imprese, suicidi di persone crollate sotto il peso schiacciante dei debiti e del regime fiscale.
Se consideri che il 30% dei giovani è disoccupato, un altro 30% è all'estero e la rimanente parte lavora nei call-center, si prospetta uno scenario veramente catastrofico: chi si sognerebbe di metter su famiglia in Italia adesso? Chi si sognerebbe mai di investire e fare impresa oggi?
Poi guardi il TG e, dopo i servizi di politica interna, ti sale una rabbia tale che vorresti letteralmente dare fuoco a TUTTA la nostra classe "dirigente". Ti cadono le braccia per la loro incapacità di focalizzarsi sui problemi reali del Paese e FARE qualcosa. Li vedi solo litigare per sedie e poltrone, fanno lo scarica barile, competono su tutto all'interno dei loro stessi schieramenti, ormai si fanno "elezioni primarie" per qualsiasi cosa, tra poco anche per chi dovrà essere il prossimo amministratore di condominio. E' una classe dirigente incapace di decidere, ed è anche lo specchio della nostra società, di noi italiani. Siamo bravissimi a parlare, parlare, parlare, ma poi al momento di concretizzare non vogliamo mai assumerci le nostre responsabilità, demandiamo sempre ad altri. Ormai decidiamo solo quando siamo in preda alla disperazione, facci caso.
So che non ti sono né di conforto né di aiuto, ma anche io sento la crisi nella dell'azienda per cui lavoro. Avverto il tono preoccupato nelle comunicazioni interne del Presidente, ancora non ricevo lo stipendio di febbraio, e devo sorbirmi tutti i giorni le lamentele del personale che ha famiglia, che ha dei mutui accesi, che deve fare i conti con le banche o deve pagare gli alimenti alla prima moglie. 
Voglio chiudere con un pizzico di ironia, facendoti notare che hai almeno un contatto in ogni parte del mondo....beh cosa aspettiamo?

Un abbraccio
Stefano dall'Iran

venerdì 12 aprile 2013

Partire/Restare

Qualche giorno fa sono state rese note le statistiche dell'Aire sul numero di italiani emigrati nel corso del 2012: sono aumentati più del 30%, sebbene siano numeri parziali perché riferiti solo a chi ha spostato la propria residenza all'estero. Pertanto, il dato definitivo è ancora più sconcertante. E' una sorta di scoperta dell'acqua calda per noi comuni cittadini italiani, che sappiamo benissimo quello che accade nel nostro Paese (a differenza di chi ci governa che ha ignorato e continua ad ignorare questa emorragia pericolosissima). Se proviamo solo a guardare la nostra lista di amici Facebook ci renderemo conto di quanto quel dato sia così "vicino". 
Io, per esempio, ho: Stefano in Iran, Simone a Braga, Andrea a Breslavia, Antonio a Bristol, Marta in Libia, Valentina a Valencia, Daniele a Santiago del Cile, Beatrice a Cardiff, Francesca a Wurzburg, Attila a Budapest, Antonio a Porto Alegre, Anna Maria in Australia, Maria Claudia e Annalisa a Dublino. E l'elenco non è finito, ho riportato solo i primi nomi che mi sono venuti in mente. A questi aggiungo Lucia che è tornata nella sua Caracas e Cyril, slovacco, che dopo la laurea presa a Roma si è trasferito a Lione; mentre Paolo ha già in mano la valigia per il Canada.
Quasi tutti hanno poco meno o poco più di 30 anni, tranne due che sono sopra i 35. Hanno tutti almeno una laurea. Due hanno un dottorato. Hanno studiato: ingegneria, architettura, lingue, storia, scienze politiche, scienze della comunicazione, filosofia. Tre sono sposati, una ha un bambino. 
Questo dato mette paura a tutti, tranne alla nostra classe politica che è troppo presa dalla propria avidità per accorgersi di quello che sta accadendo alla mia generazione, al Paese intero, al futuro di tutti i cittadini. (si veda anche: http://fugadeitalenti.wordpress.com/2013/04/10/approfondimento-i-dati-esclusivi-sul-boom-di-emigrati-nel-2012/).
Mentre faccio queste riflessioni, tra una foto di Antonio che posta Bristol di notte, una del figlio di Anna Maria nato nella terra dei canguri, una del sorriso ritrovato di Vale nella soleggiata Valencia, alzo gli occhi dal computer e guardo in direzione della mia finestra: fuori c'è solo silenzio, niente altro che silenzio tra stradine e tetti vuoti. Sono nella mia camera d'infanzia, nel posto in cui sono venuta a nascondermi quando ho capito che non potevo più giocare con il mio presente e soprattutto con il portafoglio dei miei genitori. Sono tornata sconfitta da mamma e papà senza un progetto e quasi senza speranza, aspettando qualcosa. Cosa aspetto non lo so nemmeno io. 
Stasera ho di nuovo la voglia di partire, di essere anche io un'espatriata. Così mi trovo a chiedere a Dio di regalarmi il sogno di una valigia e di un aereo, di andare lontano da questa aria opprimente che mi impedisce di diventare adulta, per lasciarmi alle spalle il senso costante della sconfitta, il viso scavato dall'insoddisfazione, le paure, le ansie e le mille giustificazioni date a chi non capisce perché sei così fragile, così imbronciata. Mi trovo a invidiare chi si è chiuso alle spalle la porta di casa dimostrando coraggio, tanto coraggio pagando il prezzo (spesso elevato) di sentirsi realizzato, autonomo. 
Già so che domani mattina al primo bagliore di speranza per un domani migliore, giunto da un gesto o da una notizia rincuorante, avrò dimenticato le lacrime notturne e la voglia di lasciare tutto. Almeno per qualche ora avrò l'animo calmo, almeno per qualche ora mi sembrerà di essere nel giusto. Fino alla crisi successiva, fino ad altre notti simili a questa. 

venerdì 5 aprile 2013

Filosofe

Da grande voglio fare la filosofa.
E' da un po' di giorni che, per gioco, mi ripeto questa frase. Tornassi indietro mi iscriverei a filosofia, studierei filosofia all'università e non economia come ripeto dacché è cominciata questa terribile crisi. 
Così da qualche giorno chiudo gli occhi e immagino di avere 19 anni, maturità appena conseguita, e l'idea di approfondire la conoscenza dei filosofi.

Da grande voglio fare la filosofa...ops, sono già grande. Ops, non sarò mai una filosofa. 

Stamattina una delle mie più care amiche mi ha consigliato di vedere l'intervento di Michela Marzano alle Invasioni barbariche, sicura che mi sarebbe interessato. 
Avevo sentito parlare della filosofa, ma ancora non ero andata a sbirciare la biografia su wikipedia. Mentre l'ascoltavo dalla Bignardi, ho cominciato a cercare notizie su di lei e mi sono imbattuta nel suo blog, rimanendo di stucco man mano che leggevo i post. Ho trovato dei pensieri gemelli dei miei, una scrittura e un modo di comunicare - intimo, emotivo - molto simile al mio. Ma la cosa che mi ha colpita di più è stata la semplicità degli scritti, nessuna saccenteria, neanche un riferimento alla sua possente cultura. Questo aspetto è andato a colpire dritto al castello delle mie paturnie, le quali si alimentano sempre più spesso della seguente litania: "i tuoi pensieri sono contorti, la tua scrittura è mediocre, per di più ti leggono persone di cui hai grande stima alle quali dai solo vacuità o sentimentalismi". Risultato: non apro nemmeno la pagina. 
In tal modo, però, rinuncio al potere balsamico che ha su di me incolonnare i pensieri in questo spazio. Quante volte ho condiviso e diviso i pesi con Aska, e mi sono sentita subito meglio.
La professoressa Marzano mi insegna che la mia scrittura è emotiva come me, non è perfezione, non è fluidità, non è coerenza, non è nemmeno belle storie da leggere. Sono io con tutto quello che non sono e che vorrei essere, sono io dietro ogni banalità, dietro ogni sdolcinatezza, dietro ogni ovvietà. Anche perché se fossi altro farei esattamente altro nella vita. Punto.

Questo è link del blog di Michela Marzano: http://marzanomichela.wordpress.com/

Questo post l'avrei potuto scrivere esattamente così io questa notte:http://marzanomichela.wordpress.com/2012/06/24/ho-sempre-paura/ 

sabato 30 marzo 2013

Dai 7 savi ai 10 saggi


Trovo Beppe Grillo molto istruttivo: ogni volta che fa dichiarazioni su fatti, persone, ordinamenti, costituzioni, ideologie, io vado subito ad approfondire. L'altra sera, per esempio, ha detto che loro sono come la rivoluzione francese senza ghigliottina. Non poteva fornirmi un pretesto più interessante per riprendere in mano i libri di storia, e contribuire a farmi venire i capelli bianchi come a Maria Antonietta (di sdegno però). 
Il capo dello Stato, tuttavia, ha osato addirittura superare il nuovo leader politico della nostra Italietta con l'annuncio della commissione dei dieci saggi. A dir la verità, quando in mattinata ha rivelato le sue decisioni su come gestire una situazione politica drammaticamente paradossale in un periodo terribile per tutti noi, mica avevo capito cosa intendesse per commissione di saggi (anche adesso sono piuttosto perplessa). Poiché dubbi nefasti non mi martellavano il cervello, avevo deciso di occupare il pomeriggio di pioggia con la lettura di Plotino senza concedermi elucubrazioni inutili.
"Coraggio, ritorna in te stesso e osservati: se non vedi ancora la bellezza nella tua interiorità, fa come lo scultore di una statua che deve diventare bella. Egli scalpella il blocco di marmo, togliendone delle parti, leviga, affina il marmo finché non avrà ottenuto una statua dalle belle linee. Anche tu, allora, togli il superfluo, raddrizza ciò che è storto, lucida ciò che è opaco perché sia brillante, e non cessare mai di scolpire la tua statua, finché in essa non splenda il divino splendore della virtù e alla tua vista interiore appaia la temperanza assisa sul suo sacro trono" (da Enneade, Sulla Bellezza).
Ad un certo punto mi è salita la curiosità di sapere chi fosse stato definito un saggio della nostra Repubblica. Pessimo pensiero: a volte è bene restare nell'incertezza, non approfondire per evitare di restare delusi o indispettiti. Che triste leggere alcuni soliti nomi, nessuna donna e nessun giovane. 
Allora con un gesto repentino ho spento il computer e ho aperto il primo volume della Storia della filosofia a cura di Nicola Abbagnano, per ricercare nelle prime pagine i Sette Savi e i loro motti. 

Talete: "Conosci te stesso"
Biante: "I più sono malvagi" e "La carica rivela l'uomo"
Pittaco: "Sappi cogliere l'opportunità"
Solone: "Prendi a cuore le cose importanti" e "Nulla troppo"
Cleobulo: "Ottima è la misura"
Misone: "Indaga le parole a partire dalle cose, non le cose a partire dalle parole"
Chilone: "Bada a te stesso" e "Non desiderare l'impossibile".

Altro che dieci saggi taroccati.

venerdì 8 marzo 2013

Pensieri 2.0 per oggi 8 marzo

E' così che mi piace passare questa giornata internazionale della donna 2013, in compagnia soltanto delle parole dei miei amici postate sul web. 
Auguro a tutti una società di giusti, in cui non sarà più necessario scambiarsi delle mimose e ribadire che siamo ancora lontani dall'essere eguali.  


Aska:
La mimosa più grande a Maria, mamma del mio Stefano, perché ha tirato su un ragazzo educato, rispettoso, garbato, serio: un ragazzo che ha profondo rispetto per il mio corpo, il mio cuore, i miei pensieri, che ha  un profondo rispetto verbale e comportamentale nei confronti di qualsiasi donna.
E una mimosa altrettanto grande anche per Patrizia, mamma di Francesco (marito di mia sorella), per gli stessi motivi per i quali ringrazio Maria.


Roberto:
E' difficile parlare dell'otto marzo senza essere banali. Pensavo a quanto sia stato lungo, faticoso, doloroso il percorso di emancipazione delle donne. Diritto al voto, all'eguaglianza nella famiglia, leggi sull'aborto e il divorzio, libertà nel decidere del proprio corpo, della propria affettività, della propria sessualità. Liberando se stesse le donne hanno reso migliore il mondo per tutti. La strada tuttavia è ancora lunga, e tanto c'è ancora d fare. Per questo, e per ogni giorno, buon otto marzo.


Maria:
Finché ci saranno donne che non si ameranno abbastanza... che si riterranno colpevoli, inadeguate... non abbastanza brave, belle o buone...che non si rispetteranno...che non sapranno prendersi cura di sè... ci saranno uomini e donne che le colpevolizzeranno, additeranno, useranno, violenteranno, picchieranno... L'unica lotta che vedo possibile contro le violenze è imparare ad amarsi profondamente nel rispetto della propria vita e di quella di chi ci circonda.. ♥


Marta:
Lo so che quando tra un po' rileggerò questo messaggio penserò: Marta sei patetica!tieni a bada gli ormoni e non lasciarti commuovere dai tuoi stessi pensieri.Ma oggi, oggi che tutti ci bombardano di ovvietà, o comunque di messaggi diretti e meno diretti, oggi che nella mia testa e nella mia anima c'e' tutto un vortice di sensazioni, più che farvi un augurio voglio condividere con voi, donne per me un po' (tanto speciali) i miei pensieri, come fosse una riflessione a voce alta. Ogni volta che esco di casa qui in Libya, e vedo una donna, una ragazza, ricoperta da capo a piedi con quell'orribile velo nero che nella migliore delle ipotesi e' una scelta personale e non un imposizione di un marito, ogni volta e' come un pugno nello stomaco. E oggi, oggi che sono anche piena di rabbia per tutti gli altri giorni dell anno in cui le donne non vengono considerate come tali, allora oggi, proprio oggi, voglio solo dire a voi e a me, di coltivare e difendere soprattutto la vostra libertà, la vostra dignità e tutti, tutti i vostri sogni. Siete le mie donne speciali perché siete mamme, donne, sorelle, cugine, amiche, amanti, fidanzate e mogli, lavoratrici, studentesse sognatrici...e tutto quelle che sentite di essere dentro o che vorreste solo essere: perché combattete ogni giorno le vostre piccole guerre con il sorriso e magari anche con qualche lacrima, ma senza mai aver paura di mostrare che siete forti e fragili allo stesso tempo...


mercoledì 6 marzo 2013

Per tornare ad essere Aska

Dopo un mese intero passato con Chirone, ritornare ad essere solo Aska è un'impresa che richiede tanto coraggio e non poche lacrime. 
Ricomincia il conto dei giorni, delle settimane e dei mesi, aspettando il primo caldo che farà ricomparire quel sorriso. Il tuo e pure il mio. 


Certo 
che non ha prezzo il tempo 
passato insieme a spasso 
tra questo mondo e un altro 
per trovare l'universo 
adatto al nostro spazio 
ogni giorno più stretto 
per contenere i sogni 
tutti dentro ad un cassetto 
ed ecco perché scappo 
ora ricordo e scappo 
ho solo tanta voglia 
di sentirmi viva adesso 

Ma senza di noi 
ho ancora 
quella strana voglia di 
sentirmi sola 
senza di noi 
ma non da ora 
se non altro per vederti 
andar via ancora 





sabato 2 febbraio 2013

Di inverno, di sabato


Tutto questo tempo a chiedermi 
Cos'è che non mi lascia in pace 
Tutti questi anni a chiedermi 
Se vado veramente bene 
Così 
Come sono 
Così 

E' sabato pomeriggio per la signorina G. Fa freddo, piove. L'unica cosa che si può fare è pensare e pensarsi: pensare e immaginare i prossimi giorni, la fine di un faticoso progetto, l'atteso ritorno; pensarsi e immaginarsi con lo sguardo dritto e il sorriso dalle proporzioni più belle in un presente prossimo dilatato da chi è capace di donarti vita. 
Aspettare è il verbo più ricorrente nella vita della signorina G. Aspettare il suo ritorno, aspettare di diventare adulta, aspettare che ti chiamino per quel lavoro, aspettare che qualcosa cambi mentre sembra che tutto si  semplifichi, si nasconda all'interno di un'immagine proveniente dal passato. Aspettare e fermarsi, mentre qualcosa in silenzio si costruisce, prende forma, si incammina e ti trascina a tua insaputa. 

Ho aspettato a lungo 
Qualcosa che non c'è 
Invece di guardare 
Il sole sorgere 

E miracolosamente non 
Ho smesso di sognare 
E miracolosamente 
Non riesco a non sperare 
E se c'è un segreto 
E' fare tutto come 
Se vedessi solo il sole 







domenica 27 gennaio 2013

Il giorno della memoria

Aska commemora il giorno della memoria con le parole e la musica del suo amico Uwe.



Qui potete ascoltare La favola della verità di Uwe Fiebig.

giovedì 24 gennaio 2013

Compleanno

Arte radio attiva (la trasmissione condotta dal collettivo Scu8 su radio Siani, (http://www.radiosiani.com/index.php/magazine/iniziative-radio-siani/item/2553-su-radio-siani-al-via-arte-radio-attiva-trasmissione-del-collettivo-scu8) e Uwe Fiebing, brillante giovane cantautore (http://uwe.altervista.org/) mi hanno fatto gli auguri più originali. Ne approfitto, pertanto, per fare loro pubblicità perché sono veramente bravi. Meritano di essere ascoltati!


Ringrazio inoltre tutte le persone che con i loro messaggi mi hanno espresso affetto nel giorno del mio genetliaco.

- grazie al mio prof. Stefano per l'originale cartolina;
- grazie al prof di portoghese Francisco per la sua mail tanto affettuosa;
- grazie ad Onofrio per essere stato il primo e per avermi rinnovato ancora una volta il suo invito ad andare a Lisbona;
- grazie a Martina, ad Antonella, a Mariagrazia, a Tullio, a Sandra, ai coniugi Guida, a Paolo, a Stefania per avermi telefonato;
- grazie a Daphne, Evelina e Ester perché con i loro sms mi hanno ricordato il bene che ci vogliamo e mi hanno fatto venire voglia di andare a Roma da loro;
- grazie a tutti coloro che mi hanno scritto con tanto calore su FB;
- grazie a tutti gli amici, semplicemente perché ci siete.

mercoledì 23 gennaio 2013

Il giorno prima della festa

Domani è il mio compleanno: trenta e uno. 
Per la prima volta dopo un decennio lo festeggerò con i miei genitori, tempi che cambiano in anni che avanzano tra i dolori (sperando che siano doglie) della recessione. 
Oggi, però, ho ricevuto tanti regali e ho festeggiato con una serenità di cui avevo perso la consistenza e la bellezza da tanto tempo.
Non mi ero ancora svegliata allorquando il cellulare ha notificato una mail del mio Lui, con la quale mi annunciava che la galleria che sta costruendo è a 48 metri dalla foratura, ovvero ad un passo dalla conclusione del progetto e del nostro rapporto Italia-Kurdistan. Si ricomincia, pertanto, a fantasticare su mete e tempi migliori, con il mondo che potrebbe diventare la nostra casa. 
Motivandolo con la scusa "è per il mio compleanno, quindi non è l'ennesimo acquisto" sono andata a comprarmi un bracciale su cui avevo posato l'occhio qualche mese fa e che, per fortuna, ancora non era stato venduto. Com'è? Giacché è il mio autoregalo, è color oro, spesso, visibile, elegante. Appena giunta a casa l'ho messo in un cassetto, in quanto le occasioni mondane nelle terre sannite sono pochissime; inoltre, non è ritenuto di buon gusto fare la spesa agghindata come Cleopatra. Quindi, vedrà probabilmente la luce con l'apparizione del mio ingegnere.
Il regalo più inaspettato è stato quello della mia fornaia. Vado da lei per comprare la pizza che io e i miei pensionati mangeremo questa sera, e trovo ad aspettarmi un pacco rettangolare, profumato. "Questo è per te, è per festeggiare bene domani". Era una crostata di mele, cucinata nel suo forno a legna. Non ho mai avuto una torta di compleanno così grande! Ed è persino il mio dolce preferito. 
La sorpresa più emozionante l'ho ricevuta quando sono uscita dal forno: nevicava! Lo faceva per giunta in uno modo proprio bello, con fiocchi grossi e ordinati. 
Mi sono inoltrata per i vicoli del mio paese accompagnata dalla magia dei fiocchi di neve che scendevano sulla mia testa mentre per strada era tutto silenzioso e per nulla freddo. Mi sono sentita fuori dal tempo, avvolta da un'atmosfera irreale. C'eravamo solo io e il presente. 
In quel preciso momento mi sono sentita voluta bene da questa vita, che a volte mi sembra di non amare abbastanza.

sabato 19 gennaio 2013

Mariangela


Da quando è scomparsa non riesco a staccarmi da lei. Guardo su Youtube le sue interpretazioni, i suoi film, i suoi personaggi teatrali. Sarà per sempre la Medea del nostro teatro, sarà per sempre la biondissima borghese milanese di Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto, sarà per sempre un'immensa Filumena Marturano, sarà per sempre una delle nostre più grandi artiste, un'interprete sublime.
Mi piace molto anche come donna, Mariangela Melato. Sarà perché il suo corpo così spigoloso, da donna forte, non è propriamente italiano, non ha nulla dei volti delle madonne rinascimentali che connotano la bellezza delle italiche. Io, che faccio pienamente parte della categoria delle Monna Lisa nostrane, sono affascinata da lei, dal suo stile, dalla sua voce, dalla sua eleganza mascolina. Trovo che sia intensa. Non bella, intensa.