martedì 27 marzo 2012

Ciao prof. Tabucchi

Non potevo non salutare da questo spazio Antonio Tabucchi. La sua scomparsa, così inaspettata, mi ha lasciato senza parole. Stavo mercanteggiando sentimenti con l'Oriente quando ho letto casualmente su un social network (ormai miei principali fornitori di notizie) della sua dipartita. Improvviso silenzio.
Ho frequentato il prof. Tabucchi attraverso le sue letture (Il filo dell'orizzonte, Sostiene Pereira, Tristano muore, Si sta facendo sempre più tardi e qualche pagina de La gastrite di Platone), sebbene l'abbia fatto entrare nel mio Pantheon soprattutto come grande amante della cultura e della letteratura portoghese. Le sue parole, infatti, raccontavano mirabilmente la mia passione per quel popolo, e per Lisbona in particolare. Ho camminato per le stradine della capitale lusitana con in testa le sue descrizioni, quel "e Lisbona sfavillava" nell'incipit di Sostiene Pereira è l'epigrafe al mio soggiorno portoghese. Ogni volta che penso a quella città mi ripeto quelle tre parole, che per me erano cariche di un grande significato emotivo.

Sostiene Pereira di averlo conosciuto un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava.



Vi consiglio di leggere la sua lezione sulla saudade (http://viadeiportoghesi.blogspot.it/2010/11/maria-pina-giaquinto-sugere-nos-saudade.html).
                                                                                                                 
E ho pensato alla vita, che è surrettizia, e che raramente mostra 
in superficie le sue ragioni, e invece il suo vero percorso 
avviene in profondità, come un fiume carsico. 
Si sta facendo sempre più tardi



Pessoa alzò la mano e fece un gesto esoterico. Disse: ti assolvo, Alvaro, vai con gli dèi sempiterni, se tu hai avuto degli amori, se hai avuto un solo amore, tu sei assolto, perché sei una persona umana, è la tua umanità che ti assolve.
Posso fumare?, chiese Campos.
Pessoa fece un gesto affermativo con la testa. Campos tirò fuori dalla tasca un astuccio d'argento e prese una sigaretta, la infilò in un lungo bocchino d'avorío e l'accese. Sai, Fernando, disse, ho nostalgia di quando ero un poeta decadente, dell'epoca in cui feci quel viaggio in transatlantico nei mari d'Oriente, ah, allora sarei stato capace di scrivere versi alla luna, e ti assicuro, la sera, sul ponte, quando c'erano i balli a bordo, la luna era talmente scenografica, era talmente mia. Ma a quel tempo io ero stupido, facevo dell'ironia sulla vita, non sapevo godere la vita che mi era data, e così ho perso l'occasione, e la vita mi è sfuggita.
E poi?, chiese Pessoa.
E poi ho cominciato a voler decifrare la realtà, come se la realtà fosse decifrabile, ed è venuto lo sconforto. E con lo sconforto, il nichilismo, poi non ho più creduto a niente, neppure a me stesso. E oggi sono qui al tuo capezzale, come uno straccio inutile, ho fatto le valigie per nessun luogo, e il mio cuore è un secchio svuotato. Campos andò verso il tavolino e schiacciò il mozzicone di sigaretta in un piattino di porcellana. Bene, caro Fernando, disse, avevo bisogno di dirti queste cose ora che forse stiamo per lasciarci, devo andarmene, verranno anche gli altri a trovarti, lo so, e a te non resta più tanto tempo, addio.
Campos mise il mantello sulle spalle, infilò il monocolo all'occhio destro, fece un rapido gesto di saluto con la mano, aprì la porta, si soffermò un attimo e ripete: addio, Fernando. E poi sussurrò: forse non tutte le lettere d'amore sono ridicole. E chiuse la porta.
Ultimi tre giorni di Fernando Pessoa

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