venerdì 4 marzo 2011

Sopravvivere a Roma

Per sopravvivere a Roma devo inventarmi qualsiasi cosa, se non voglio soccombere di fronte agli ostacoli che la città mi pone COSTANTEMENTE sul percorso.
Prendiamo i mezzi pubblici: sono pochi, sporchi e lenti. Rappresentano un vero incubo per chi è costretto a prenderli quotidianamente. Io, per esempio, per non lasciarmi sopraffare dallo stress (quindi impazienza + urto + repulsione) mi faccio aiutare dalle mie letture. Sono il mio toccasana: appena mi accorgo che un autobus comincia a tardare subito tiro fuori dalla borsa un libro; lo stesso che poi aprirò in metropolitana o su un treno. Non potrei spostarmi per Roma senza trovare il modo di distrarmi, il rischio sarebbe di passare il tempo a sbruffare e a sbraitare per il traffico o per l'attesa (sorvoliamo su quando si rimane fermi per consentire all'illustre Primo Ministro di attraversare la città: in quei momenti l'ira diventa incontenibile).
Dunque, nella giungla romana i libri mi aiutano a tenere a freno la fastidiosa impazienza. Quando, però, mi ritrovo su un mezzo strapieno di gente, in cui mi è impossibile tirare fuori il voluminoso oggetto, utilizzo un altro espediente (l'unico che mi permette di non pensare al fatto che degli sconosciuti mi spingono e mi alitano in faccia a intervalli regolari). Ecco che cosa faccio: porto la mia mente fuori da quella camera a gas e mi lascio cullare dall'Ave Maria di De Andrè. Così il mio sguardo si lascia intenerire dalla recita silenziosa del testo e sul viso può persino fare la sua comparsa un lieve sorriso.
Oggi, però, il buon Fabrizio non riusciva proprio a sedarmi. Così ho rovistato con tenacia nel sacchetto della memoria e ho tirato fuori un verso di Battiato. "E' in certi sguardi che s'intravede l'Infinito": la mia nuova giaculatoria ha avuto un immediato effetto balsamico. E si è guadagnata la possibilità di venire impiegata la prossima volta che a luglio prenderò la metro B nell'orario di punta. Grazie, Franco!


E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un'ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

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