domenica 15 maggio 2011

Matrimonio a Bratislava



La scorsa settimana si è sposata una delle mie più care amiche europee, portando all'altare un ragazzo indiano. I due si sono conosciuti a Tubinga, ove entrambi svolgono un dottorato di ricerca (lei in filosofia, lui in biologia). A luglio, discussa la tesi, si trasferiranno a Los Angeles, destinazione centri di ricerca e università californiane.
Ho incontrato per la prima volta la sposa nel 2004, nell'anno dei nostri soggiorni Erasmus. Lei lo stava svolgendo a Roma, io ero stata nell'est magiaro (terra natia dei suoi nonni). In quel periodo Monika era una studentessa di filosofia dell'università di Vienna con una passione folle per l'Italia, corredata di cotanto amore per un bel siciliano. Io, invece, ero di ritorno dal semestre passato a Debrecen, nel cuore un biondino di Budapest, e poca voglia di vivere a Roma. Il suo amore per l'Italia è rimasto intatto, il mio per l'Ungheria un po' meno.
I due sposi hanno detto "sì" nella splendida cattedrale di Bratislava, con una cerimonia in inglese, ungherese e slovacco; alcuni momenti sono stati anche in italiano e tedesco. I preti passavano con tanta naturalezza da una lingua all'altra (a dispetto di quanti sostengono che bisognerebbe usare il latino per unificare i fedeli di diversa provenienza). Il coro, formato dagli amici tedeschi di lei, ha cantato in inglese e in italiano. Sono accorsi amici da ogni parte d'Europa, compresa la delegazione italiana (Genova, e noi da Roma). Forse più che gli invitati o il plurilinguismo della celebrazione, colpiva soprattutto la composizione della famiglia della sposa. Sembrava di essere stati proiettati nel prossimo futuro, quando le famiglie-mondo saranno una prassi e non un'eccezione eccentrica. I suoi genitori appartengono alla minoranza ungherese della Slovacchia; un fratello ha sposato una inglese, mentre un altro una deliziosa giapponese. Con il neosposo hanno acquisito in famiglia un indiano appartenente ad una delle prime famiglie dell'India convertite al cattolicesimo addirittura dai portoghesi (il cognome è tutto portoghese, mentre il nome è tipically british!).
Prima di cominciare il banchetto il padre ha fatto un discorso di ringraziamento in inglese, ungherese, italiano e tedesco. E' stato un momento davvero commovente. Gli sembrava che sulla sua famiglia ci fosse un particolare disegno di fratellanza universale. Loro possono asserire, senza apparire troppo idealistici, che una umanità più vicina, solidale, nuova è in cammino. Mentre lui parlava mi sono venute in mente alcune parole di Julia Kristeva, presenti nel libro "Il rischio di pensare": "Gli stati nazioni che ancora oggi ci sembrano così naturali (tanto che si considera altrettanto naturale che esistano gli stranieri), stanno modificandosi e a lungo termine sono destinati a scomparire in un mosaico di differenze etniche, culturali e personali. Mi piace sognare questo futuro ancora utopico ma in un certo qual modo, ho l’impressione di esserci oggi stesso”.
I vari invitati poi sono stati posizionati al tavolo con un criterio ben preciso: evitare di raggruppare una stessa nazionalità (con grande panico degli italiani, costretti a tenere discorsi in inglese). A parte ciò il matrimonio è stato in perfetto stile slovacco. In tutto. Dalla acconciatura della sposa e della sorella - testimone, allo stile e ai colori degli abiti, alle pietanze. Il bello è stato proprio questo che, a dispetto della globalizzazione e del multiculturalismo, molte cose appartengono al patrimonio nazionale e trasformarle è ancora molto difficile. Per fortuna. A conferma di ciò basti menzionare uno dei momenti topici: la cena è cominciata con una portata abbondante di brodo di pollo. La faccia degli italiani era da immortalare, quella mia in particolare. Mentre tutta Europa mangiava con gusto il primo piatto, noi ci siamo limitati ad un assaggino, giusto per non essere scortesi. In quel preciso momento ho proprio pensato che fossimo salvi: l'omologazione è ancora ben lontana dal contaminarci.





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