martedì 4 gennaio 2011

Oltre la Babilonia di Igiaba Scego


Igiaba Scego mi piace, e anche molto. L’avevo scoperta quando una mia amica, originaria del Congo, aveva postato una lettera scritta da questa somala di Roma per il Presidente della Repubblica. Minacciata dalla precarietà professionale, chiedeva che lei e altri brillanti giovani italiani non fossero costretti a lasciare questo Paese. Era un periodo in cui anche io meditavo sulla triste situazione della nostra generazione, per questo leggendola mi erano venute le lacrime di condivisione. Mi sono sentita profondamente orgogliosa di questa connazionale dalle pelle d’ebano. (http://cerca.unita.it/data/PDF0115/PDF0115/text3/fork/ref/1012050q.HTM?key=igiaba&first=1&orderby=1)

L'incontro con Igiaba scrittrice è avvenuto quasi per caso. Ero in biblioteca alla ricerca di libri che potessero accompagnarmi durante il periodo natalizio, quando, nello scompartimento della narrativa contemporanea, ho notato il suo nome. Senza alcuna esitazione ho deciso che me la sarei portata a casa. Avevo il presentimento che non mi avrebbe delusa. E così è stato.

Oltre Babilonia (Donzelli, 2008, 454 pp.) è un romanzo denso di personaggi, di ambienti, di linguaggi. Alle 5 voci narranti si affiancano tante piccole storie ambientate tra Roma, Mogadiscio, Buenos Aires e la Tunisia. Si salta da un continente all'altro, da un decennio all'altro, cambiando intensità partecipativa a seconda della drammaticità della storia. Alle voci femminili, in particolare, è affidato il compito di spiegarci cosa è accaduto al proprio popolo, alla propria generazione: nella storia personale si sublima la Storia mondiale. Queste donne ci conducono per mano nella tragicità delle esistenze, delle aspettative personali e soprattutto collettive. Ci ricordano il volto ferito della Somalia colonizzata, illusa e poi distrutta o quello cupo della Buenos Aires della dittatura militare. Umanità offese di cui ci dimentichiamo con troppa facilità. La condizione in cui versa la Somalia è sotto gli occhi di tutti e le madri di Plaza de Mayo tutt'oggi ci gridano il loro strazio, eppure tanti silenzi. Anche italiani.

Ritengo opportuno dover tributare qualche parola soltanto alle donne di contorno, perchè sono belle in maniera sconvolgente. La Flaca, Bushra, Howa, in particolare, sono commoventi nel modo accorato con cui affrontano i dolori causati dalle circostanze. Ciascuna passa nel mondo e nella propria vita con uno sguardo particolare, sconcertante.

Si vede che a scrivere è una giovane donna: lo stile e l'intensità della rappresentazione sono tipiche di chi appartiene alla global generation e all'universo femminile. Attraverso la narrazione dei dolori e delle frustrazioni personali di chi viene beffato soprattutto dall'amore carnale, si comunicano i dolori e le frustrazioni di una nazione. I personaggi raccontati da Elias mi sembrano la rappresentazione delle speranze, delle illusioni, delle violenze e della voglia di riscatto a tutti costi del popolo somalo. Aspettiamo tutti che Majid torni con il suo abito luccicoso, aspettiamo tutti di rivedere i caldi colori di Mogadiscio tornare a sfavillare.

Lo stile della Scego è tipico di chi appartiene alla nostra generazione, quella che ha fatto del mondo la propria patria. Il plurilinguismo non è solo conseguenza diretta della doppia appartenenza culturale della autrice; a mio avviso, è il marchio a fuoco della generazione multiculturale. C'è una Babele di lingue e una babele di riferimenti culturali a cui non si riesce a fare a meno nel momento in cui si decide di comunicare, a cui non si può rinunciare nel raccontare se stessi e la modernità. Il suo stile è il mio stile, è lo stile della nostra generazione: mescolare lingue, versi, autori, registri è tipico di chi ha scelto il mondo come patria. Forse questo significa andare al di là della Babilonia novecentesca.

Igiaba ha avuto un grande merito: mi ha fatto innamorare della Somalia. Non si può non patire per quello che è accaduto e sta accadendo a quel Paese, a quella popolazione. E non si può non provare vergogna per tutto ciò che di ingiusto hanno compiuto i nostri illustri avi nelle terre del Corno d'Africa. Non mi era mai capitato di chinare la testa nel sentire la parola colonialismo. Dopo essere stata a Mogadiscio con Igiaba non riesco più ad alzare il mento dell'indifferenza. Io, noi non possiamo ignorare la tragedia di un popolo a cui siamo andati a chiedere di inginocchiarsi al cospetto dell'italica nazione. Non è solo la loro guerra civile, è anche la nostra. Dobbiamo loro un risarcimento storico per la nostra brama coloniale e dobbiamo farlo attraverso una politica di accoglienza. Notizia di questi giorni è la denuncia della penosa condizione in cui versano alcuni somali rifugiati nella loro ex ambasciata a Roma. Vivono in condizioni disumane, nella totale indifferenza politica. Non è possibile continuare a fare finta di niente, non è umano, non è da cittadino europeo, non è da cittadino del mondo.

"Mamma mi parla nella nostra lingua madre. Un somalo nobile dove ogni vocale ha un senso. La nostra lingua madre. Spumosa, scostante, ardita. Nella bocca di mamma il somalo diventa miele. Mi chiedo se la lingua madre di mia madre possa farmi da madre. Se nelle nostre bocche il somalo suoni uguale. Come la parlo io questa nostra lingua madre? [...]Incespico incerta nel mio alfabeto confuso. Le parole sono tutte attorcigliate. Puzzano di strade asfaltate, cemento e periferia. Ogni suono di fatto è contaminato. Ma mi sforzo lo stesso di parlare con lei quella lingua che ci unisce. In somalo ho trovato il conforto del suo utero, in somalo ho sentito le uniche ninnananne che mi ha cantato, in somalo di certo ho fatto i primi sogni. Ma poi, ogni volta, in ogni discorso, parola, sospiro, fa capolino l'altra madre. Quella che ha allattato Dante, Boccaccio, De André e Alda Merini. L'italiano con cui sono cresciuta e che a tratti ho anche odiato, perchè mi faceva sentire straniera. L'italiano aceto dei mercati rionali, l'italiano dolce degli speaker radiofonici, l'italiano serio delle lectiones magistralis. L'italiano che scrivo" (p. 443-444)



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