Inevitabile pensare al ferragosto dello scorso anno con una punta di commozione. Chiudo gli occhi e mi ritrovo seduta all'interno del monastero dos Jeronimos di Lisbona mentre guardo le colonne manuelite e la mente e il cuore si lasciano accarezzare da uno straordinario senso di pace.
Mi sentivo sola quella mattina, terribilmente sola. Presi il tram e mi diressi a Belém: volevo che l'arte e la storia mi dessero ristoro, volevo che la bellezza non mi facesse pensare agli affetti lontani, volevo fondermi con il passato per sentirmi nuova. E così fu. Prima il monastero, poi i tre piani di arte contemporanea del centro culturale e infine il ristoro guardando il Tejo nell'ora del tramonto furono i momenti più mistici, emozionanti del mio soggiorno lusitano.
Quest'anno il ferragosto è proprio all'insegna della tradizione. Stessi luoghi, stesse persone e persino stesso pranzo pesante di mia madre. Ma forse lo preferisco a quello passato. Perché in fondo la solitudine mi spaventa, mi lacera. Perché in fondo sono contenta delle emozioni di oggi...
La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.
L'anno della morte di Ricardo Reis, José Saramago
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