mercoledì 31 agosto 2011

Storico Bar

Il nostro Storico Bar!
C'è anche il gruppo facebook, dedicato a tutti noi che amiamo il posto e il proprietario. https://www.facebook.com/group.php?gid=50369463527


Piccoli piaceri quotidiani

Il mattino ha l'ora in bocca? A volte sì, soprattutto quando questo oro per te significa la fortuna di essere in un posto che ti avvolge di affetto, di piacere.
E' l'alba quando apro gli occhi oggi. Il dovere mi ha svegliato per ricordarmi che devo finire un po' di cose sacrificate per vivere testa e cuore un inaspettato presente. Metto su il caffè, accendo il computer e spalanco il balcone: la brezza, la brezza della mia terra, mi accarezza subito il corpo mentre gli occhi si lasciano stravolgere da un sorgere del sole che stamane è tremendamente intenso. E' un piacere che mi toglie il fiato per quanto è sublime.
Quando il resto della casa si sveglia io ho già vissuto almeno un paio di ore di concentrazione. Così di fronte alle chiacchiere mattutine di mia madre mi arrendo a fare una pausa e le propongo di sfruttarmi per qualche commissione, in modo tale da ristorare le gambe sempre ferme. E così mi ritrovo a camminare nella strada, ancora mezza addormentata, che fino alla seconda guerra mondiale era il corso principale del paese, ovvero via dei caffè. L'unico bar rimasto attivo è quello gestito da un mio caro amico: lo Storico Bar, il caffè più bello, kitsch e mondano di tutta la zona. Il proprietario andrebbe eletto il barista più elegante di Italia: lo guardo e inevitabile mi viene da dirgli "complimenti per essere così bello di prima mattina". E' abbronzato, depilato e vestito da passerella. Che contrasto con il mio look sinistroide, finto trasandato, finto povero. Mi risponde con una scrollata di spalle, perché per lui vestirsi bene è sacro e sottolinearlo è volgare. Altra regola con lui: se ti offre la colazione non devi rifiutarla. Così mi ritrovo a fare la seconda colazione della giornata con una sana fetta di ciambella fatta in casa e con una buona dose di gossip. Lo lascio promettendogli che la prossima notte che giocheranno a nascondino nei vicoli del rione io non mancherò. A un invito del genere non si può resistere, proprio no.
Prima di far ritorno a casa, mi fermo nella piazza principale a contemplare quel che resta della chiesa di San Bernardino: pare che un tempo fosse molto bella, peccato che a deturparla non sia stato tanto un incendio quanto il pessimo gusto della ristrutturazione. Triste sorte comune a molti tesori d'Italia, anche essi tristi testimonianze del cattivo operare della prima repubblica.
Prendo la salita di casa mia, fatta di noti - ai miei piedi - sanpietrini, con due buste cariche di verdure e carne nostrane, mentre sorrido al perché proprio non mi piace vivere in quelle anonime, estranee grandi città.


lunedì 29 agosto 2011

Incontri folgoranti

Quanto mi piacciono le biblioteche. In genere sono i luoghi dove si incontrano i personaggi più interessanti, dove si intavolano discorsi leggeri ma profondi, dove non ci si rivolge quasi mai all'altro in modo presuntuoso. Sì, perché il popolo dei libri è sempre gentile, accorto, affabile (salvo eccezioni, ovviamente). E' quasi impossibile andare via dai quei posti senza aver ricevuto una parola o un gesto di premura. Figuriamoci nei piccoli centri, figuriamoci nella biblioteca dove tutti mi hanno vista crescere. Andarci è sempre un grande piacere.
Oggi ho avuto un incontro straordinario. Mentre mi stavo intrattenendo con i bibliotecari, è entrato in silenzio un piccolo signore piuttosto anziano. Era venuto a prendere il vocabolario del dialetto locale. La direttrice della biblioteca ce l'ha presentato come un appassionato studioso di linguistica. Io e il bibliotecario giovane abbiamo passato la mezzora successiva incantati ad ascoltare questo brillante giovanotto che ci parlava di lingue mutate, influenzate, stravolte dall'incontro con le altre. Per ogni parola faceva degli esempi dal greco, dal latino, dal sanscrito, passando poi per le lingue attuali, soprattutto slave e anglosassoni.
La cosa più straordinaria è stato scoprire che non mi trovavo di fronte ad un illustre linguista ma ad un insegnante elementare. Inevitabile pensare con una punta di rammarico alla scuola di un tempo. E a quella più recente, a cominciare da quella in cui io mi sono formata.
Sulla via di casa l'ho incontrato e salutato. Lui mi guarda e sorridendomi mi dice: "lei è la signorina della biblioteca! Devo porle le mie scuse per il tempo che mi sono trattenuto lì con voi". Io, naturalmente, sono esplosa in un "ma è stato incantevole. L'avremmo ascoltata per ore". Di fronte al mio entusiasmo si è messo a parlare ancora di vocaboli mutati dal latino, di dissertazioni con lo studioso a cui è dedicata la biblioteca e persino della sua vita. "Sa, sono diventato insegnante nel dopoguerra. Mi sono trasferito a Napoli con sommo dispiacere dei miei genitori, i quali avrebbero voluto avermi qui con loro". Ha fatto una pausa di silenzio, quasi come se avesse deciso di andare via il giorno precedente e non tanti tanti decenni fa. Poi si è ripreso e mi ha fatto una confidenza: "in questo momento studio il dialetto locale perché credo che possa rintracciarvi cose interessanti per la nostra lingua". Indicandomi il portone di casa, con una voce molto galante mi dice: "io abito qui, se vuole accomodarsi per un caffè". Meraviglioso!
Una volta a casa, ho pensato a lungo a quella passione colta nei suoi occhi, a quel suo garbato desiderio di comunicarla. Che voglia sconfinata di rubargliela. Io che posseggo l'età e i mezzi per agevolare la crescita intellettuale, mi perdo nei mille rivoli della distrazione. Io e tutti gli pseudo umanisti della mia generazione abbiamo la terribile malattia di "dover fare in fretta", di mangiare nel piatto di quel sapere e di quell'altro ancora, senza nutrirci adeguatamente. Noi che abbiamo tutto il tempo per poter approfondire, finiamo per avere rapporti frugali con le nostre passioni. E spesse volte non riusciamo nemmeno a raccontare e a raccontarci perbene.

domenica 28 agosto 2011

Dilatare agosto

Improvviso, inaspettato desiderio che agosto non finisca. Trattenerlo. Fare di tutto affinché non evapori, affinché non evaporino queste giornate irreali.
Voglio continuare ad abitare in questo sogno, ove non c'è spazio per le incombenze, per le decisioni da prendere subito, per le partenze lontane.
Voglio essere qui e ora, con la mia gente nella mia terra, con il mio vento e i miei sapori.
Voglio continuare a stare seduta nel mio castello medievale in compagnia di un ricordo lungo 15 anni, mentre emozionati guardiamo la nostra valle e facciamo finta di avere un'età in cui non c'è chiesto di andare.
Voglio solo che tu non vada via, mio strano agosto.


lunedì 15 agosto 2011

Come sei bella Aida

Non so perché ma in quest'estate di respiri corti le musiche di Rino Gaetano sono la mia assidua compagnia. Capitano nella vita periodi nei quali le parole di qualcuno diventino balsamo per i tuoi momenti, senza che vi sia alcuna motivazione particolare. Le poesie di Forugh Farrokzad o gli scritti di Saramago, per esempio, hanno raccontato alcuni momenti belli e inquieti del mio anno passato. Ogni volta che prendo in mano i libri della poetessa iraniana o dello scrittore portoghese ritorno cuore e mente ai mesi in cui essi erano le mie fedeli ancelle.
Queste giornate di solleone, invece, vedono la onnipresenza delle canzoni di Gaetano. In maniera improvvisa affiorano al mio orecchio e mi tengono compagnia per un po' di giorni.
Questo è il momento di Aida. L'unica che sa parlare di me, l'unica che sa parlare del mio oggi.

lei sfogliava i suoi ricordi
le sue istantanee
i suoi tabù
le sue madonne i suoi rosari
e mille mari


Belém, un anno fa

Inevitabile pensare al ferragosto dello scorso anno con una punta di commozione. Chiudo gli occhi e mi ritrovo seduta all'interno del monastero dos Jeronimos di Lisbona mentre guardo le colonne manuelite e la mente e il cuore si lasciano accarezzare da uno straordinario senso di pace.
Mi sentivo sola quella mattina, terribilmente sola. Presi il tram e mi diressi a Belém: volevo che l'arte e la storia mi dessero ristoro, volevo che la bellezza non mi facesse pensare agli affetti lontani, volevo fondermi con il passato per sentirmi nuova. E così fu. Prima il monastero, poi i tre piani di arte contemporanea del centro culturale e infine il ristoro guardando il Tejo nell'ora del tramonto furono i momenti più mistici, emozionanti del mio soggiorno lusitano.
Quest'anno il ferragosto è proprio all'insegna della tradizione. Stessi luoghi, stesse persone e persino stesso pranzo pesante di mia madre. Ma forse lo preferisco a quello passato. Perché in fondo la solitudine mi spaventa, mi lacera. Perché in fondo sono contenta delle emozioni di oggi...




La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice.
L'anno della morte di Ricardo Reis, José Saramago



lunedì 8 agosto 2011

Alda


Quelle come me...
...è come una goccia d'acqua nel deserto ciondolante.
Quelle come me sono capaci di grandi amori e grandi collere, grandi litigi e grandi pianti grandi perdoni.
Quelle come me non tradiscono mai.
Quelle come me hanno valori che sono incastrati nella testa come se fossero pezzi di un puzzle, dove ogni singolo pezzo ha il suo incastro e lì deve andare.
Niente per loro è sottotono, niente è superficiale o scontato, non le amiche, non i figli, non la famiglia, non gli amori che hanno voluto, che hanno cercato, e difeso e sopportato.
Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l'anima, perché un'anima da sola, è come una goccia d’acqua nel deserto.



Alda che seppe rimare il suo enorme cuore.
Alda che continua a rimare il mio di cuore.


Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

- Alda Merini-