"...ho sempre provato più gusto a rimuginare le mie opere e a fantasticare come le avrei scritte piuttosto che a scriverle effettivamente; e questo per la verità, non dipende da pigrizia. E da che cosa allora?" (in "Umiliati e offesi, F. Dostoevskij, Einaudi).
Qualche settimana fa ho cominciato a leggere Umiliati e offesi; nella prima pagina il grande Fedor aveva scritto questa frase. Subito sulla mia bocca si è allargato un sorrisino di piena condivisione pensando a quanti post sono stati macchinati nella mia testa, rifiniti con i termini più consoni e ricercati, e poi rintanati in anditi lontani: il tempo di tornare a casa, accendere il computer, e questi erano già andati via lasciandomi senza parole. Sono stati più quelli pensati e accarezzati che quelli effettivamente scritti. Anzi, i migliori sono stati proprio quelli che non sono riusciti ad arrivare ai miei polpastrelli. Ho più parole e pensieri dentro di me rispetto a quanti ne riesca alla fine a comunicare. "Pensa te", direbbe il mio curdo di poche parole, "tutto quel bisogno di comunicare, quelle lunghe e.mail, quelle lunghissime telefonate, quelle ore passate con te solo che parli, non riescono ad esaurire la quantità di parole che produci quotidianamente! C'è dell'altro ancora". Già, c'è dell'altro ancora. E ancora ancora.
Allora se non dipende dalla mancanza di idee o di pigrizia il fatto che scriva poco rispetto alla quantità di cose che avrei da dire, da cosa dipende? Probabilmente dalla mancanza di un vero allenamento a tramutare l'interiore in forme comunicabili. Lo facevo anche da piccola. Pensavo storie intrecciatissime, curavo nei minimi particolari i personaggi e i luoghi in cui abitavano ma li tenevo serbati dentro di me, giusto qualche appunto per non dimenticare alcune informazioni quando le storie si accumulavano. Ancora oggi ricordo perfettamente cosa piaceva e come vivevano i miei protagonisti. Tutto in testa, tutto dentro. Ieri come oggi.
Allora se non dipende dalla mancanza di idee o di pigrizia il fatto che scriva poco rispetto alla quantità di cose che avrei da dire, da cosa dipende? Probabilmente dalla mancanza di un vero allenamento a tramutare l'interiore in forme comunicabili. Lo facevo anche da piccola. Pensavo storie intrecciatissime, curavo nei minimi particolari i personaggi e i luoghi in cui abitavano ma li tenevo serbati dentro di me, giusto qualche appunto per non dimenticare alcune informazioni quando le storie si accumulavano. Ancora oggi ricordo perfettamente cosa piaceva e come vivevano i miei protagonisti. Tutto in testa, tutto dentro. Ieri come oggi.
Perché ho scritto questo post questa mattina? La vita delle ultime settimane, Fedor, Saramago e il mondo circostante forse hanno riempito troppo la botte dove tengo conservata l'immaginazione, qualche crepa si sarà prodotta e questi pensieri sono riusciti a raggiungere, senza intoppi, la tastiera. A volte succede, benché preferisca abitare da sola nella mia interiorità senza permettere a nessuno di entrarvi. Conoscendomi non si direbbe, vero?
Nessun commento:
Posta un commento