domenica 5 febbraio 2012

Signora Ava

Interessante e poco noto romanzo di Francesco Jovine (colui che ebbi l'ardire di portare all'esame di maturità), Signora Ava è un'opera che merita il suo posto nella letteratura sull'Unità di Italia. Il suo valore aggiunto è quello di raccontarci un Risorgimento poco noto, poco considerato: il Risorgimento nelle terre molisane, terre lontane, povere, provinciali com'erano al tempo del Regno borbonico e come lo sono oggi nell'Italia coeva. Con un finale proprio bello, metaforicamente bello e triste. 
Il titolo si rifà ad un antico detto meridionale: "O tiempo da Gnora Ava nu viecchio imperatore a morte condannava chi faceva a’mmore".



«Don Matteo incontrò i volontari, si tolse il cappello e incominciò ad agitarlo in segno di gioia. Poi gridò: “Evviva la libertà!”. “Alla chiesa, alla chiesa per esporre il ritratto”, dissero alcuni. Gli spiegarono che in tutti i paesi dove erano passati e che avevano fatto la rivoluzione, in chiesa al posto del ritratto di Re Francesco mettevano quello del nuovo Re. Don Matteo fu portato in trionfo davanti al sagrato dove un folto gruppo di donne, di contadini, di ragazzi era apparso al rumore. Concetta, alta, solenne, col capo chiuso in bende nere gridò: “Allegri figlioli, è arrivata la repubblica!”».
Signora Ava, Francesco Jovine, Donzelli Editore, 2010.

Domenica pomeriggio per la signorina G.


Sussurri e grida, Ingmar Bergman, 1972.



sabato 4 febbraio 2012

La mia San Bernardino

                                           (foto di Marino)

giovedì 2 febbraio 2012

Un omaggio a Stefano

Per Stefano che dall'Iran guarda la sua Santa Croce del Sannio coperta dalla neve.
La fontana che fu testimone di un inaspettato saluto dopo 15 anni di silenzio. Capita a volte nella vita.

(Foto di Proloco Santa Croce del Sannio) 
                             
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".
("La luna e i falò", Cesare Pavese).


Ciao Wislawa

È Concita De Gregorio che su twitter mi dà per prima la notizia della scomparsa della Szymborska. Quel suo "Szymborska  in the sky" mi allerta i sentimenti, poi altri tweet me ne danno la conferma. Così è da un social network, da quel borioso di twitter, che vengo a conoscenza della dipartita della poetessa polacca che amavo molto. Tempi moderni: la voce più intima della Polonia, incoronata a Stoccolma, viene celebrata innanzitutto dai mezzi di comunicazione più veloci e più superficiali. Tanti oggi, grazie ad essi, impareranno il tuo nome. Se questi strumenti servono a diffondere le tue parole, Wislawa, e con te quell'ancora troppo sconosciuta a noi tronfi europei dell'ovest letteratura dell'Europa orientale esultiamo per la loro onnipresenza. 

Io voglio ricordarti con i tuoi versi, quelli della poesia che più amo, Sotto una piccola stella (1972):

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
 [...]
Chiedo scusa al tutto, se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti, se non so essere ognuno e ognuna.

mercoledì 1 febbraio 2012

Spesso molto spesso il mio canto libero sei tu

In un mondo che
non ci vuole più
il mio canto libero sei tu
E l'immensità
si apre intorno a noi
al di là del limite degli occhi tuoi

                    


La veste dei fantasmi del passato 
cadendo lascia il quadro immacolato 
e s'alza un vento tiepido d'amore 
di vero amore 
E riscopro te 
dolce compagna che 
non sai domandare ma sai 
che ovunque andrai 
al fianco tuo mi avrai 
se tu lo vuoi 

Nostalgia di casa

Nostalgia di casa, della mia terra in questo primo giorno di febbraio. Guardo le foto che i miei compaesani stanno postando sui vari social network mentre mi prende una grande commozione nel vedere il nostro ventre materno innevato. 
Che voglia di essere lì a guardare la neve che cade sui tetti del centro storico; che voglia di sentire sul volto quel vento tagliente; che voglia smisurata di riempire i polmoni e il cuore con la mia aria invernale. 
In un baleno mi passano davanti agli occhi i luoghi, le persone e gli anni: io sono loro, loro sono me. Mi basta una foto per ricordami chi sono. Quella foto parla di me e di noi molto più di tante minuziose descrizioni. Forse per questo, appena vista, l'ho inviata al mio prediletto conterraneo lontano. Non è stato necessario chiosarla: immaginiamo quali emozioni ha provato l'altro nel guardarla, sappiamo esattamente cosa significa per me e per lui la nostra terra accarezzata dalla neve. 
Questa è la nostalgia di casa, questa è la nostalgia dell'emigrante. 

                                         (Foto di Ester)

“Nasciamo, per così dire, provvisoriamente, da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente”. R. M. Rilke in Lettere milanesi.

                                         (Foto di Donatella)


                                         (Foto di Angelo)