"Nel mondo delle pecore ormai si narrava, oralmente e per iscritto, l'avventura della pecorella Aska che aveva incantato e giocato il terribile lupo. Ma Aska non parlò mai direttamente del suo incontro con la fiera né della sua danza del bosco. Nessuno ama parlare delle cose più grandi e difficili della vita"
(Aska e il lupo, Ivo Andrić)
Ho ripreso la penna, non per tornare indietro, ma perché il vuoto è così immenso dentro di me, intorno a me, che mi occorre questo movimento della mano per assicurarmi che sono ancora in vita.
Sto leggendo Una donna spezzata di Simone de Beauvoir. Per fortuna ho deciso di farlo ora e non qualche giorno fa, altrimenti non avrei retto. Bisogna farlo in un periodo in cui si è liberi da affanni, diversamente si finirebbe per confondere la propria erosione interna con quella di Monique, la protagonista. Sarebbe troppo con un animo per nulla tranquillo.
Mentre leggevo il primo racconto, quello che dà il titolo al romanzo (un titolo in italiano - lasciatemelo proprio dire - stupendo, essenziale, appropriato), ho pensato che questo è un libro per animi femminili. Il mio uomo e tutti gli uomini che conosco storcerebbero il naso di fronte a cotanta fragilità. Noi donne no, per una ragione ben precisa: tutte ci siamo sentite spezzate in circostanze in cui i pensieri erano troppo lunghi e il fiato troppo corto.
...in nome di che cosa si deve preferire la vita interiore alla vita mondana, la contemplazione alle frivolezze, la dedizione all'ambizione? Io non avevo altro ideale che quello di creare della felicità intorno a me.
Simone de Beauvoir (1908-1914)
Perché proprio di lei? Se almeno fosse veramente bella, veramente giovane, o notevolmente intelligente, lo capirei. Soffrirei, ma lo capirei. Ha trentott'anni, è piacente, ma nulla di più, e molto superficiale. E allora, perché? Ho detto a Marie Lambert:
- Sono sicura di essere meglio di Noellie, che ha trentotto anni, è piacente, ma nulla di più.
Lei ha sorriso:
- La questione non è qui.
E dov'è la questione? A parte la novità, e un corpo attraente, che cosa può dare Noellie a Maurice che io non gli dia? Marie Lambert ha detto:
- Non comprendiamo mai gli amori degli altri.
Non comprendiamo mai gli amori degli altri. Già.
La porta dell'avvenire sta per aprirsi. Lentamente. Implacabilmente. Io sono sulla soglia. C'è soltanto questa porta e ciò che v'è nascosto dietro. Ho paura. E non posso chiamar nessuno in aiuto. Ho paura
Mia sorella non ha gradito il post precedente. Sostiene che sia troppo negativo e che devo impegnarmi a scriverne di meno deprimenti.
Eccola accontentata.
Per fortuna che in questo periodo ci sono queste persone:
1) mia sorella, perché da una decina di anni è passata da sorella minore da proteggere, guidare e (lo ammetto) suggestionare, a sorella maggiore che mi protegge, mi guida e mi influenza con la sua equità, il suo senso di legalità, la sua spiritualità, la sua concretezza.
2) le mie studentesse. A loro è bastato uno sguardo per capire che c'era qualcosa che non andava. Mi hanno abbracciata, coccolata,("tu piaci molto!", "Maria, tuo occhi dice tutto", "niente sorriso, non sei tu"), con quel tepore tipico delle mamme. Con molte siamo quasi coetanee, eppure nei miei confronti hanno un atteggiamento materno di cura e di attenzione. Io, che mi sento ancora troppo figlia, accolgo queste affettuosità come un dono della vita.
i bambini della scuola, perché sono proprio belli. Gli occhioni e l'eleganza di Mariam, il cinguettare di Shaenda, la timidezza di Ahmed, la faccetta furba di Abdallah, la compostezza delle bambine del Bangladesh, la vivacità di Vasim e di Hiba, la gentilezza di Jana, gli sguardi di Sara, la pelle ebano di Gibril e poi Tarek, Reda, Ilyas, Massimo Ismail, Karim e Marika, Amin, Rim, ecc., mi riempiono gli occhi di bellezza.
Marzia, Abdessamad, Rania e Fatiha, senza di loro non ci sarebbe "Mamma, torna a scuola con me!" (https://www.facebook.com/mammatornaascuolaconme).
3) Stefano, mio tutto e mio niente, mia forza e mio tormento, che cerca di trovare mille modi per ricordarmi che lui c'è nonostante l'assenza e che ci crede in un futuro migliore: l'ha fatto soprattutto con il silenzio (ma anche con i fiori e i cioccolatini per san Valentino, le mimose l'8 marzo, i bigliettini, le nostre foto più speciali allegate a messaggi per il buongiorno).
Non si dica che sono una lagna, o almeno soltanto una lagna. So anche essere riconoscente.
Mio cognato rincasa dopo una giornata di lavoro, viene in cucina, mi guarda e molto gentilmente mi dice: "avevi lasciato la porta aperta". Io, avvolta in un mutismo che mi connota ormai da qualche settimana, so solo tratteggiare sul mio volto pallido lunghi trattini sospensivi, come a dire "a questo punto sono arrivata, mi dimentico perfino di chiudere la blindatissima porta di casa...puntini puntini".
Ma questa è solo l'ultima scena di un periodo ad alto tasso di stress, di un periodo che mi sta portando (o mi ha già portato?) sull'orlo di una crisi di nervi.
Nel pomeriggio mi ero decisa a mettere il naso fuori di casa, lontano da quell'aria stantia che respiro da troppo settimane. Esco quasi serena, guardo la strada e opto per una più interna, anziché per la trafficatissima via Tiburtina. Dopo aver indugiato con un gattino nero (da notare tutti i particolari delle mie vicende, i superstiziosi potrebbero tracciarvi trame ricche di stereotipi tipici della iella canonica), mentre sto per attraversare un incrocio faccio in tempo a fermarmi alla vista di una macchina che viene a velocità non proprio adeguata alla strada. Riesco a malapena a fare un passo indietro che questa si va a schiantare contro un taxi che sta arrivando dalla parte sinistra: un impatto tremendo proprio sotto i miei occhi. Airbag che si aprono, persone che accorrono, io paralizzata su quel ciglio della strada. Incredula. INCREDULA.
Entro nel supermercato, vago tra gli scaffali, poi all'improvviso spalanco gli occhi e mi domando: "perché sono qui?". Non riuscivo a ricordare il motivo, avevo solo un grande vuoto in testa.
Sabato pomeriggio mi è successo di peggio, mentre tornavo a casa ad un certo momento non ricordavo più quale strada prendere. Ero ad un incrocio (di nuovo un incrocio) e guardavo allarmata in tutte le direzioni. Non capivo dove fossi di preciso. Ho avuto qualche secondo di paura pura e poi mi sono ricordata.
Dunque, sono sull'orlo di una crisi di nervi.
Stefano è partito per il Kashmir il 21 gennaio, tre giorni prima del mio compleanno. Farà ritorno a metà maggio. Non sempre riusciamo a parlarci, e nelle ultime tre settimane quando lo facciamo discutiamo oppure passiamo il tempo con lui in silenzio e io che piango.
Due anni e mezzo di lontananza si fanno sentire sui miei nervi, non si può aspettare per lunghi mesi un uomo, aspettare che ritorni, aspettare di stare insieme, aspettare che maturi la decisione di costruire una famiglia con me, aspettare i SUOI tempi, mentre il MIO di tempo passa tra la nostalgia e i pianti (e i tanti rimpianti), vivendo a casa dei miei genitori per metà settimana e l'altra ospite di suo fratello (e della sua giovanissima fidanzata). Per tre giorni e mezzo faccio la figlia di due pensionati, e i restanti la coinquilina di una coppia in Erasmus perenne.
A TRENTADUE anni non ho uno spazio tutto mio. Non ho costruito e non posseggo nulla.
Lavoro quattro ore a settimana. E' un bell'ambiente, ma non mi realizza. Non può realizzarmi. E' troppo poco.
Faccio un master pessimo e pure stressante, dove gli altri - di gran lunga più preparati di me - fanno a gara a chi scrive l'intervento più intelligente, dove ci chiedono di elaborare testi impegnativi e noiosissimi OGNI settimana.
Non c'è giorno che non mi chieda: "ma chi me l'ha fatto fare di pagare per stressarmi?". Deprimente, molto deprimente.
Ma non è finita qui.
Domenica alla festa di carnevale della mia scuola, qualcuno mi ha rubato 40 euro dal portafogli. Mai, mai nessuno mi aveva fatto un gesto del genere; l'ho trovato "violento". Non so spiegarmi, ma è stata una brutta sensazione.
Come un pessimo scherzo della vita, è successo in un posto dove sto dando tanto in questo momento (a euro zero, perché verrò pagata a fine progetto). "Dai e ti sarà dato", dai e ti sarà sottratto.
Due settimane fa, in giornate di fuoco a causa di pensieri vari e di un compito per il master, mi convinco a ritagliarmi uno spazio per svagarmi. Così vado a fare un aperitivo con un'amica. Di ritorno a casa smarrisco o vengo derubata del portafogli, nel quale vi erano 40 euro (cifra che ricorre), documenti (la patente l'avevo lasciata a Morcone, in un momento di preveggenza) e il bancomat. Il giorno dopo, allorquando mi accorgo che non c'è il portafogli nella borsa, mi tocca lo stupido interrogatorio del poliziotto del commissariato ("ma lei non ha un documento adesso? Perché se ce l'avesse sarebbe meglio per la denuncia". Senza parole) e soprattutto devo affrontare ben QUATTRO telefonate di mia madre, con le quali mi ricorda di quanto sia sbadata, di quanto sia incapace, di quanto non ne combini una buona, di quanto l'abbia sempre fatta stare in pensiero perché ingenua, smemorata, per nulla concreta, buona solo a fare chiacchiere.
Per fortuna il bancomat non è stato utilizzato, altrimenti avrei perso quei pochissimi soldi che ho ancora sul conto e non avrei avuto veramente più nulla.
In queste settimane ho discusso con: mia madre e mio padre (ovviamente), con Stefano (ovviamente), con mia sorella e con Marzia. Nella mia testa ho avuto battibecchi con un'infinità di persone, a cominciare da quei poverini dei miei suoceri, rei di aver detto - non rivolta a me, anzi - una cosa a cui penso sempre...quasi come se l'avessero detta a me.
Ricordo ancora com'è cominciato il periodo storto: è sabato pomeriggio, ho un appuntamento prima del lavoro a causa del quale non posso parlare con Stefano. Sono quasi alla fermata dell'autobus, quando vedo che se ne sta andando. Allora comincio a correre, sono quasi sotto la tangenziale quando dall'alto cade una goccia di acqua nel mio occhio. Mentre penso "ma che razza di schifezza è?? E proprio nell'occhio nel quale ho avuto un herpes a ottobre!", mi sento mancare la terra sotto i piedi e mi ritrovo per terra, stesa sul lato sinistro. Accorrono ben tre persone, allarmate mi ripetono "signorina, sta bene? Come si sente?". Io li guardo e guardo l'autobus allontanarsi, allora l'unica cosa che riesco a dire: "merda, farò tardi. Maledetta Roma".
Da quel giorno il braccio sinistro ogni tanto mi fa male, tuttavia non è questa la parte di me che mi preoccupa.
Il ciclo mi è arrivato dopo 20 giorni, dormo pochissimo e la testa mi duole quasi sempre.
Mia madre mi chiama due volte al giorno per sincerarsi che io abbia mangiato, e mi riempie di domande del tipo: "hai mangiato? Hai mangiato il pane? No, perché poi se continui così ti obbligano a mangiare il pane". Quelli che dovrebbero obbligarmi a mangiare il pane sono i medici che finiranno per curare la mia anoressia!!! Questa è la sceneggiata che mia madre ha in testa: io anoressica! Gesù! Dopodiché telefona a mia sorella e in piena sceneggiata paventa medici e cure anche a lei e al marito (!).
Una cosa è vera: in questi giorni ho un po' di inappetenza (come faccia lei a intuirlo è un mistero!), che scomparirà presto. Come si può avere fame nella mia situazione?
Gli avvenimenti di cui ho parlato sono soltanto quelli che si possono raccontare, quelli intimi sono altri. Quindi, c'è dell'altro, e altro ancora.
Ieri qualcuno su twitter ha scritto questa frase:
"prima o poi scopriremo che non era un tunnel, era una rotonda".
Temo esattamente questo. In quel momento però sarò già al di là dell'orlo.
Ci nascondiamo di notte Per paura degli automobilisti Degli inotipisti Siamo i gatti neri Siamo i pessimisti Siamo i cattivi pensieri E non abbiamo da mangiare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
E' inutile Non c'è più lavoro Non c'è più decoro Dio o chi per lui Sta cercando di dividerci Di farci del male Di farci annegare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare