martedì 11 marzo 2014

Quasi sull'orlo

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Mio cognato rincasa dopo una giornata di lavoro, viene in cucina, mi guarda e molto gentilmente mi dice: "avevi lasciato la porta aperta". Io, avvolta in un mutismo che mi connota ormai da qualche settimana, so solo tratteggiare sul mio volto pallido lunghi trattini sospensivi, come a dire "a questo punto sono arrivata, mi dimentico perfino di chiudere la blindatissima porta di casa...puntini puntini". 
Ma questa è solo l'ultima scena di un periodo ad alto tasso di stress, di un periodo che mi sta portando (o mi ha già portato?) sull'orlo di una crisi di nervi.

Nel pomeriggio mi ero decisa a mettere il naso fuori di casa, lontano da quell'aria stantia che respiro da troppo settimane. Esco quasi serena, guardo la strada e opto per una più interna, anziché per la trafficatissima via Tiburtina. Dopo aver indugiato con un gattino nero (da notare tutti i particolari delle mie vicende, i superstiziosi potrebbero tracciarvi trame ricche di stereotipi tipici della iella canonica), mentre sto per attraversare un incrocio faccio in tempo a fermarmi alla vista di una macchina che viene a velocità non proprio adeguata alla strada. Riesco a malapena a fare un passo indietro che questa si va a schiantare contro un taxi che sta arrivando dalla parte sinistra: un impatto tremendo proprio sotto i miei occhi. Airbag che si aprono, persone che accorrono, io paralizzata su quel ciglio della strada. Incredula. INCREDULA.

Entro nel supermercato, vago tra gli scaffali, poi all'improvviso spalanco gli occhi e mi domando: "perché sono qui?". Non riuscivo a ricordare il motivo, avevo solo un grande vuoto in testa.
Sabato pomeriggio mi è successo di peggio, mentre tornavo a casa ad un certo momento non ricordavo più quale strada prendere.  Ero ad un incrocio (di nuovo un incrocio) e guardavo allarmata in tutte le direzioni. Non capivo dove fossi di preciso. Ho avuto qualche secondo di paura pura e poi mi sono ricordata.

Dunque, sono sull'orlo di una crisi di nervi.

Stefano è partito per il Kashmir il 21 gennaio, tre giorni prima del mio compleanno. Farà ritorno a metà maggio. Non sempre riusciamo a parlarci, e nelle ultime tre settimane quando lo facciamo discutiamo oppure passiamo il tempo con lui in silenzio e io che piango. 
Due anni e mezzo di lontananza si fanno sentire sui miei nervi, non si può aspettare per lunghi mesi un uomo, aspettare che ritorni, aspettare di stare insieme, aspettare che maturi la decisione di costruire una famiglia con me, aspettare i SUOI tempi, mentre il MIO di tempo passa tra la nostalgia e i pianti (e i tanti rimpianti), vivendo a casa dei miei genitori per metà settimana e l'altra ospite di suo fratello (e della sua giovanissima fidanzata). Per tre giorni e mezzo faccio la figlia di due pensionati, e i restanti la coinquilina di una coppia in Erasmus perenne. 

A TRENTADUE anni non ho uno spazio tutto mio. Non ho costruito e non posseggo nulla.

Lavoro quattro ore a settimana. E' un bell'ambiente, ma non mi realizza. Non può realizzarmi. E' troppo poco.

Faccio un master pessimo e pure stressante, dove gli altri - di gran lunga più preparati di me - fanno a gara a chi scrive l'intervento più intelligente, dove ci chiedono di elaborare testi impegnativi e noiosissimi OGNI settimana.  
Non c'è giorno che non mi chieda: "ma chi me l'ha fatto fare di pagare per stressarmi?". Deprimente, molto deprimente.

Ma non è finita qui.

Domenica alla festa di carnevale della mia scuola, qualcuno mi ha rubato 40 euro dal portafogli. Mai, mai nessuno mi aveva fatto un gesto del genere; l'ho trovato "violento". Non so spiegarmi, ma è stata una brutta sensazione.
Come un pessimo scherzo della vita, è successo in un posto dove sto dando tanto in questo momento (a euro zero, perché verrò pagata a fine progetto). "Dai e ti sarà dato", dai e ti sarà sottratto.

Due settimane fa, in giornate di fuoco a causa di pensieri vari e di un compito per il master, mi convinco a ritagliarmi uno spazio per svagarmi. Così vado a fare un aperitivo con un'amica. Di ritorno a casa smarrisco o vengo derubata del portafogli, nel quale vi erano 40 euro (cifra che ricorre), documenti (la patente l'avevo lasciata a Morcone, in un momento di preveggenza) e il bancomat. Il giorno dopo, allorquando mi accorgo che non c'è il portafogli nella borsa, mi tocca lo stupido interrogatorio del poliziotto del commissariato ("ma lei non ha un documento adesso? Perché se ce l'avesse sarebbe meglio per la denuncia". Senza parole) e soprattutto devo affrontare ben QUATTRO telefonate di mia madre, con le quali mi ricorda di quanto sia sbadata, di quanto sia incapace, di quanto non ne combini una buona, di quanto l'abbia sempre fatta stare in pensiero perché ingenua, smemorata, per nulla concreta, buona solo a fare chiacchiere.
Per fortuna il bancomat non è stato utilizzato, altrimenti avrei perso quei pochissimi soldi che ho ancora sul conto e non avrei avuto veramente più nulla. 

In queste settimane ho discusso con: mia madre e mio padre (ovviamente), con Stefano (ovviamente), con mia sorella e con Marzia. Nella mia testa ho avuto battibecchi con un'infinità di persone, a cominciare da quei poverini dei miei suoceri, rei di aver detto - non rivolta a me, anzi - una cosa a cui penso sempre...quasi come se l'avessero detta a me. 

Ricordo ancora com'è cominciato il periodo storto: è sabato pomeriggio, ho un appuntamento prima del lavoro a causa del quale non posso parlare con Stefano. Sono quasi alla fermata dell'autobus, quando vedo che se ne sta andando. Allora comincio a correre, sono quasi sotto la tangenziale quando dall'alto cade una goccia di acqua nel mio occhio. Mentre penso "ma che razza di schifezza è?? E proprio nell'occhio nel quale ho avuto un herpes a ottobre!", mi sento mancare la terra sotto i piedi e mi ritrovo per terra, stesa sul lato sinistro. Accorrono ben tre persone, allarmate mi ripetono "signorina, sta bene? Come si sente?". Io li guardo e guardo l'autobus allontanarsi, allora l'unica cosa che riesco a dire: "merda, farò tardi. Maledetta Roma".

Da quel giorno il braccio sinistro ogni tanto mi fa male, tuttavia non è questa la parte di me che mi preoccupa. 
Il ciclo mi è arrivato dopo 20 giorni, dormo pochissimo e la testa mi duole quasi sempre.
Mia madre mi chiama due volte al giorno per sincerarsi che io abbia mangiato, e mi riempie di domande del tipo: "hai mangiato? Hai mangiato il pane? No, perché poi se continui così ti obbligano a mangiare il pane". Quelli che dovrebbero obbligarmi a mangiare il pane sono i medici che finiranno per curare la mia  anoressia!!! Questa è la sceneggiata che mia madre ha in testa: io anoressica! Gesù! Dopodiché telefona a mia sorella e in piena sceneggiata paventa medici e cure anche a lei e al marito (!).
Una cosa è vera: in questi giorni ho un po' di inappetenza (come faccia lei a intuirlo è un mistero!), che scomparirà presto. Come si può avere fame nella mia situazione?

Gli avvenimenti di cui ho parlato sono soltanto quelli che si possono raccontare, quelli intimi sono altri. Quindi, c'è dell'altro, e altro ancora. 

Ieri qualcuno su twitter ha scritto questa frase:

"prima o poi scopriremo che non era un tunnel, era una rotonda".

Temo esattamente questo. In quel momento però sarò già  al di là dell'orlo.

(qui un vecchio pot sempre attuale: ieri come oggi)


Ci nascondiamo di notte 
Per paura degli automobilisti 
Degli inotipisti 
Siamo i gatti neri 
Siamo i pessimisti 
Siamo i cattivi pensieri 
E non abbiamo da mangiare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare 



E' inutile 
Non c'è più lavoro 
Non c'è più decoro 
Dio o chi per lui 
Sta cercando di dividerci 
Di farci del male 
Di farci annegare 
Com'è profondo il mare 
Com'è profondo il mare

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